MOLESTER SMILES Social Music
Sebbene sia affascinante, tentare di penetrare l’universo del primo periodo elettrico di Miles Davis comporta rischi: le brutte figure sono dietro l’angolo. Eccetto gli omaggi di titolati partner del trombettista, tipo Shorter, Zawinul, Hancock, Carter o Corea, i restanti si sono rivelati in gran parte derivativi. Certo, i progetti realizzati una dozzina di anni fa su Cuneiform de Henry Kaiser e Wadada Leo Smith vantano qualità notevoli, ma trattandosi di sperimentatori – quindi, abituati a “ricreare” daccapo qualsiasi materiale – non concepiscono i compitini copia-e-incolla. Fanno così anche i Molestar sMiles, protagonisti di questo buon esordio dove si divertono a giocare col nome di Miles, magari per accattivarsene lo spirito inquieto. L’approccio filosofico del gruppo è evidente già dal titolo, “Social Music”: cosi rispondeva Davis a chi gli chiedeva di definire la sua formula all’inizio dell’epoca elettrica. Pur non vantando l’imponente background di Kaiser & Smith, il sestetto allinea comunque nomi apprezzati da tempo nel panorama del jazz nostrano più ricercato, a cominciare dall’esperto Achille Succi (sax contraito, clarinetto basso) e da Massimiliano Milesi (sax soprano e tenore). Giancarlo Tossani suona le tastiere, Enrico Merlin la chitarra, Giacomo Papetti il basso elettrico (e tutti e tre non disdegnano le alterazioni elettroniche), Filippo Sala la batteria. I nove episodi di “Social Music” (solo “Black Satin” e “Ife”, in origine proprio di Miles Davis, non sono autografi) conducono nei gangli stordenti della metropoli, con le pulsazioni cardiache del basso funk e i battiti di tamburi dagli echi tribali, mentre tappeti di tastiere acidule agevolano gli interventi al calor bianco dei fiati e della straniante sei corde. A proposito di Sala e Milesi, ammirateli con Tracanna e Corini nel notevole “Double Cut”.
Enzo Pavoni – AudioReview