Soluzioni per nulla scontate per un’improvvisazione sonora compatta e fluida in grado di spaziare, aprirsi e ricomporsi. Il disco dei Big Monitors rappresenta una sorta di summa free jazz dove incipit e personalismi fanno da contraltare ad una vibrante esibizione di immagini composite e unite che non lasciano indifferenti, alternando chiaro scuri e pezzi di concatenazioni dove la fantasia regna sovrana. Knots and notes è un insieme di appunti che scorrono via via ampliandosi. Una sorta di bolla d’aria pronta ad aprirsi che trova nel disintegrarsi della misura un punto da cui partire, un punto da cui fuggire per poi ricominciare a stupire. Un omaggio a William Parker, una solida concezione esistenziale dove i tredici pezzi proposti alternano visioni mai definite, ma cariche di quell’improvvisazione necessaria nel ricreare nuovi mondi possibili.
Knots And Notes è un buonissimo disco uscito da poco per Auand a nome Big Monitors, un quintetto guidato da Giancarlo Tossani (piano, wurlitzer, virtual synths) con i fratelli Bondesan (Tobia al sax alto e Michele al contrabbasso), Andrea Grillini alla batteria, Gabriele Mitelli (cornetta, flicorno alto e synth modulari) e Amanda Noelia Roberts ospite alla voce in due pezzi. Il lavoro, in tredici tracce, prende spunto dalla musica del grande William Parker e, tra numeri autografi e convincenti versioni, propone, più che un tributo, una libera interpretazione dell’arte di un musicista senza tempo. Era dunque il caso di approfondire un poco il discorso con il leader della formazione, Giancarlo Tossani.
Nell’ultimo, magnifico, enciclopedico box di William Parker, Migrations Of Silence Into And Out Of The Tone World, da poco uscito su Centering Music/Aum Fidelity, c’è una frase che mi ha colpito molto: “Improvisation is another word for love”. Knots And Notes è un disco tutto scritto o avete lascio spazio per la creazione istantanea? Qual è il tuo rapporto con l’improvvisazione?
Giancarlo Tossani: Ecco vedi. Eccoci subito ai nodi, nodi d’amore, di sicuro è necessario un legame amoroso coi tuoi partner e con chi ti ascolta. Anche se si improvvisa da soli non si è mai soli, ci si rivolge e ci si confronta sempre con qualcuno in absentia. Amore e improvvisazione sono, diciamo, uno stato creativo e di apertura che hanno parecchie cose in comune, ovviamente anche gli errori. Quanto alle mie partiture, che siano più o meno articolate, lasciano – anzi richiedono sempre – l’apporto degli altri musicisti, che sono a tutti gli effetti parti integranti della partiture. Oltre al testo, diciamo seminale, della composizione, ogni musicista dà vita a un sotto-testo, a una molteplicità che confluisce in una tessitura comune. Come in ogni conversazione una piega inaspettata può rivelarsi estremamente interessante e feconda, come pure il rischio sempre presente è quello di perdere il filo. Ma più che usare meccanismi precostituiti e strutture rigide per articolare il discorso, è importante seguire il principio di un ascolto reciproco attento e stimolante. Per me l’improvvisazione è innanzitutto piacere della sorpresa, del momento in cui raggiungi la cosa che risuona in modo particolare e che in un certo qual modo percepisci come agìta da qualcun Altro, un po’ come ascoltarsi dall’esterno. È una sensazione difficile da spiegare, ma senza orientalismi, spiritualismi o roba del genere.
La metafora del nodo che usi mi fa pensare alla navigazione, ma non solo: nel jazz i cambi di equipaggio spesso sono la regola, e le rotte possono cambiare anche in corso d’opera; a che tipo di viaggio sei interessato tu, e credi che i nodi vadano necessariamente tutti sciolti per salpare in musica, o che possa essere interessante anche capire perché si formano (penso ad esempio a Lacan e alla relazione nodale da lui teorizzata tra Reale, Simbolico ed Immaginario nello spazio abitato da chi parla)?
L’idea guida, il filo rosso, un termine che ha origine marinaresca tra l’altro, del progetto è quello del nodo. Si fa subito nodo già nelle parole del titolo del cd, nella grafia e nella pronuncia, quasi omofona, di Knots Notes. Nel nome del gruppo, Big Monitors, che altro non è se non l’annodarsi delle lettere iniziali dei cognomi dei componenti. Il nodo che lega qualsiasi espressione collettiva del suonare, a seconda delle situazioni formali con un grado più o meno vincolante. Il nodo che abbiamo fatto alla musica di William Parker. Il nodo che lega le generazioni dei musicisti, un aspetto più spiccato nel jazz che altrove. Per tornare alla tua domanda, immagino che tu ti riferisca al nodo borromeo nella teoria di Lacan. La risposta nella teoria psicanalitica è che questo nodo è indispensabile perché abbia luogo la soggettività. Pensare di poter sciogliere tutti i nodi, quindi, è più che altro un’illusione propria al campo dell’Immaginario. Credere che sia possibile annodare tutto appartiene del resto alla stessa illusione, di tipo paranoide stavolta. Bisogna quindi sì sciogliere nodi ma anche formarne. Come si dice… Non buttare il bambino con l’acqua sporca. L’ampiezza dei significati in uso nella lingua esprime immediatamente la complessità di questo concetto, ampio e ambivalente. Nodo come intreccio, che può essere legame positivo ma anche negativo e costrittivo. Ornamento e bellezza ma anche groviglio, confusione, impedimento. Il nodo fra le persone è una relazione decisamente complessa. Anche nella musica non può che essere così. Nel voler annodare la nostra a musica a quella di William Parker ci siamo confrontati con la molteplicità di questi aspetti. Non è quindi un semplice “tribute to” o una riproposizione tout court. Per rendere ancor più evidente questa intenzione, in più di un caso, alle sue composizioni si sono annodate senza soluzione di continuità composizioni originali. È piuttosto un salpare da un porto e raggiungerne un altro, per restare alla tua immagine nautica. Ho poi voluto che i brani “principali” e più strutturati fossero intervallati, nella nostra ottica quindi diremmo annodati tra loro, da brevi momenti alla cui base stava un semplice idea musicale estemporanea, con organici differenti, a forte tasso di improvvisazione collettiva. I titoli, infatti, indicano diversi tipi di nodi: Slipped, Binding, Sennit, Lashing, Whipping, Hitch.
Per farla breve, come dice lo stesso William Parker: Suonare la musica di qualcun altro è una faccenda veramente delicata. Il miglior approccio alla musica di qualcun altro è di fare le cose in una propria chiave [lo si trova in Marcello Lorrai, William Parker. Conversazioni sul jazz]. Lui stesso ci ha fatto omaggio di buone parole e ringraziato: Giancarlo Tossani and Big Monitors have created a new sound from my compositions giving them a new life, this is always an exciting treat. Also I enjoyed the original compositions. Getting to the essence of the music; unique arrangements andperformances not only of my music but their own compositions. “Knots and Notes” rises up and takes off. All that we can ask of any musician is to be oneself. This music finds its own voice. A voice that is much needed in this time. Great Job. Thank you for the Music.
Nella cartella stampa racconti di un non essere un fan accanito di William Parker; come ti sei mosso nella scelta del repertorio per il disco?
Come ho già avuto modo di dire, questa idea è nata quando Michele Bondesan mi ha proposto alcuni brani di William Parker come base per un concerto che avevamo in programma ovvero: In order to survive, Hunk Pappa Blues, O’Neal’s Porch e Old Tears. Avevamo quindi già una lista abbastanza corposa. Poi, dopo un ascolto attento, ho trovato un altro paio di cose, Vermeer, a cui fa da complemento il brano originale Mr Reeve (un po’ come Dr Jekyll e Mr. Hyde. Qualcos’altro è in filigrana come per esempio I had a Dream Last Night e Flag nella traccia più elettronica ossia Autumn Leaves (non quella famosa).
Quali i musicisti ed i dischi fondamentali nel tuo percorso?
Suonare è anche un processo di ascolto e infatti sulla copertina del mio primo disco citavo una frase di J.L. Borges, una sorta di dedica a tutta quella musica che aveva reso possibile la mia. “Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto, io sono orgoglioso di quelle che ho letto”. Quindi direi senz’altro Paul Bley tra i pianisti. Franco D’Andrea tra i maestri. Poi ovviamente Ornette Coleman è uno di quei musicisti che più di altri mi hanno indicato un nuovo orientamento, che mi ha aiutato a svincolarmi da rigidi parametri di armonia, melodia, ritmo, spingendomi a ragionare in modo differente e a considerare la musica più in termini di equilibrio e di flusso, di dialettica tra formale e informale, a trovare uno spazio sonoro particolare. Ma ovviamente c’è dietro una lunga storia personale fatta prima di rock, di prog, di jazz. Un elenco troppo lungo. Ti direi Bitches Brew o in generale Miles Davis, giusto perché è un po’ il Kubrick del jazz, in ogni genere e momento è sempre stato il top. Tim Berne, che ho avuto la fortuna di vedere e ascoltare dal vivo fin dagli anni ‘80. Attualmente una delle cose che trovo più interessanti è Craig Taborn. Mi viene in mente ora che a entrambi ho organizzato un concerto, a Miles Davis purtroppo no!
Mi racconti il tuo primo ricordo musicale?
Non saprei dirti qual è il primo, tutto per me cominciò comunque quando mio padre tornò a casa con un organo elettronico, ne ricordo ancora il modello: Bauer Combo.
Big Monitors – foto di Dino Ferruzzi
Come funziona l’alchimia in una formazione come Big Monitors, dove convivono generazioni lontane e diverse?
In Big Monitors abbiamo un bell’assortimento di generazioni. Un boomer (io), quattro millennials (Michele e Tobia Bondesan, Mitelli, Grillini), una zoomer (Amanda Roberts) oltre che l’assente, ma tuttavia presente, boomer William Parker. Un bell’assortimento. Penso di poter dire, parlo per me ma credo valga per tutti, che ci si è trovati assolutamente a proprio agio sia dal punto di vista musicale che umano. Sono musicisti formidabili, giovani e già con background di tutto rispetto. Ma l’idea era proprio di sottolineare che, in modo maggiore che altrove, il jazz è anche questo: un nodo fra le generazioni, che va incoraggiato, nella musica come nella società. Nel jazz capita frequentemente che musicisti più anziani chiamino a suonare con sé musicisti più giovani. In questo caso però la prospettiva è diversa, la scintilla scaturisce dal fatto che Michele Bondesan, che ha meno della metà dei miei anni, mi ha proposto dei brani di William Parker nei cui riguardi, si badi bene, con il massimo rispetto e ammirazione, ho un interesse relativo, sostanzialmente per il fatto che apparteniamo più o meno alla stessa generazione musicale e abbiamo una stessa sintonia di fondo.
Insomma, non ho chiamato musicisti più giovani per suonare la mia musica perché la “ringiovanissero”. Ho, come dire, risposto a una sollecitazione inversa e mi sono posto una domanda. Come una diversa generazione ascolta, intende e interpreta una certa musica, magari già storicizzata, rispetto a chi, come me, ha un percorso storico-musicale differente e la ascolta con orecchie diverse? Questo cosa aggiunge e cosa ci si scambia? Il risultato di questa rivisitazione poi lo testimonia in qualche modo? Il giudizio ovviamente spetta agli ascoltatori.
Dal tuo punto di vista, pandemia a parte, qual è lo stato di salute della musica creativa in Italia?
C’è molta buona musica in giro. Difficoltà pratiche sono legate alle sempre troppo limitate risorse dedicate al jazz, fortemente presente nell’immaginario musicale dei media ma ancora troppo scarsamente presente nelle politiche reali. Ci sono in giro un sacco di giovani musicisti preparatissimi e strabilianti, purtroppo manca un ricambio generazionale negli ascoltatori, il pubblico è troppo âgée e così pure, troppo spesso, gli operatori del settore. Insomma, al problema generale della mancanza di opportunità dei giovani si unisce quella della poca diffusione e concreta conoscenza della musica jazz. Ça va sans dire? Serve maggiore attenzione da parte delle istituzioni e maggior attivismo e comunanza da parte dei musicisti. Tutti nodi che la pandemia ha evidenziato e acuito.
Leggo nella tua biodi studi filosofici: c’è un pensatore che ispirao guida il tuo agire in musica? O è la musica stessa che è filosofia, in qualche modo? Dove la incontri la musica? La capti nell’aria, la insegui sul foglio, la vedi? Come sono nati ad esempio i tuoi temi in questo disco?
Mi fanno spesso questa domanda, in realtà direi che nella musica mi sforzo di non concettualizzare troppo il mio lavoro, anche se poi innegabilmente un po’ ci casco. Cerco di non teorizzare troppo, di non sovrapporre una grammatica al risultato, ma certamente ho bisogno un pensiero, di una direzione. Non c’è nessun pensatore in particolare ma certamente quello di cui la filosofia in genere può renderti consapevole, per esempio, è la complessità. Non sono un compositore prolifico e instancabile come William Parker che, come dichiara, ogni giorno scrive qualcosa, del resto il suo 10 cd-box ne è la riprova. Non ho questo bisogno quasi “fisiologico”. In genere quel che mi muove è un obiettivo. Un progetto è ciò che mi fa cercare la musica. Quindi in realtà è una ricerca, non casca tra capo e collo. Accumuli cose, poi selezioni: un processo di raffinazione. Più sul foglio che nell’aria. Talvolta invece capita, basta un ascolto e ti si aprono le porte. Quanto a questo cd buona parte delle cose originali era materiale giacente e in attesa del suo destino.
Giancarlo Tossani: un filosofo prestato alla musica oppure un musicista innamorato della filosofia?Ovviamente nessuna delle due definizioni è totalmente veritiera: i debiti, i prestiti e le invidie di questi due “io” innamorati sono reciproci. La figura dell’innamorato però mi piace: il suo è uno stato creativo e di apertura che ha parecchie cose in comune con quello dell’artista, talvolta anche gli errori. In realtà, a priori, non concettualizzo in modo troppo strutturato il mio lavoro, anche se poi innegabilmente emerge, anche all’ascolto, un personale atteggiamento speculativo connaturato che interagisce e allude, in modo diversificato, ad altri ambiti espressivi.
A Marco Valente e alla sua Auand, si deve il merito di averla reso visibile alla grande platea (inter)nazionale. Come è iniziata la vostra collaborazione? Semplicemente con l’invio del demo di “Beauty Is A Rare Thing”. Non ci conoscevamo precedentemente, anche se ovviamente apprezzavo la linea Auand, la sua qualità e personalità oltre che la convinzione e il coraggio (di sicuro una buona dose nel mio caso!). Una sorta di adozione a distanza quindi, in cui stavolta – che felicità! – è il “Sud del mondo” a svolgere il ruolo di sostegno, alla quale ha fatto seguito un assiduo “cyber-romanzo” epistolare, sul cui lieto fine siamo entrambi fiduciosi.
Synapser: il suo quartetto con Succi, Tito Mangialajo Rantzer e Calcagnile si distingue per feeling, interplay e dialogo musicale. Quale è il segreto della vostra alchimia? Un buon segreto è quello che nessuno conosce. Quando abbiamo tentato di razionalizzare troppo mi sono accorto che ciò arrecava delle debolezze. Direi che l’apertura di cui dicevo prima sia la cosa fondamentale, oltre all’aspetto umano e al comune interesse per un certo tipo di creatività. Oltre al contesto, seminale, della composizione, quando si realizza un brano ogni musicista dà vita a un sotto-testo, a una molteplicità che, se la cosa funziona, confluisce in una tessitura comune che a questo punto è a più dimensioni. A questo principio collettivo e comunicativo del resto allude proprio il nome del quartetto, Synapser.
Nel suo precedente lavoro (“Beauty is a rare thing” sempre per AUAND) il riferimento a Ornette Coleman suona come una sorta di manifesto per una visione di musica intesa come sinonimo di ricerca. Nelle sue composizioni si nota il richiamo alle tipiche strutture aperte colemaniane che sembrano però “mediate” da una attenzione estrema agli spazi timbrici e armonici. Un tentativo di attualizzare le prerogative del sassofonista californiano oppure voluta commistione con la cultura jazzistica melodica di stampo europeo? To be or nette to be? Di Ornette Coleman, illuminante, mi piace interpretare la suggestione armolodica come soluzione trasversale, in cui lo scarto tra la parola e la lingua data è però conferma di reciproca appartenenza e possibilità di un nuovo senso. Appunto la “deformazione coerente” del titolo di questo secondo cd. Coleman è quindi una risonanza costante del mio lavoro, ma altre cose e parametri, più o meno consapevolmente, ne fanno parte. Questo lo arricchisce e allo stesso tempo ne mette in evidenza il carattere sempre non-compiuto: e quindi certamente il jazz europeo ma anche per es., tanto per restare sul continente e visto che il tempo, lo sappiamo, non va in una sola direzione, una certa qualità narrativa e articolata del progressive anni 70.
Ritorniamo al suo ultimo lavoro. “Coherent Deformation” sembra riprendere e, in un certo senso, approfondire il linguaggio musicale elaborato con “Beauty is a rare thing”. Una prova corale, con temi densi e un linguaggio improvvisativo libero e pungente. Si nota qualche innesto elettronico in più e una maggiore attenzione all’elemento percussivo. A parte l’aspetto autobiografico, di lunga convivenza di pianoforte e strumenti elettronici – questi a un certo punto abbandonati e ora invece ripresi in una prospettiva diversa – direi che mi interessava l’idea di ampliare lo spazio sonoro ma anche di introdurre un aspetto ritmico e temporale attraverso l’uso di tecniche che hanno una peculiare dimensione del tempo, diversa da quella jazzistica, una particolare iterazione e una possibilità manipolatoria, una performatività fisica e ludica che gli strumenti tradizionali hanno in misura minore o forzata.
Progetti futuri? Per ora prendere un po’ di tempo per vedere cosa potrebbe scaturire da questo ultimo lavoro:mi viene in mente, anche se con un senso diverso dall’originale, l’immagine proustiana dei fiori giapponesi di carta che bisogna attendere di immergere in acqua per far sì che rivelino la loro forma e colore. Mi piacerebbe lavorare di addizione allargando il quartetto, ma anche lavorare nella direzione opposta, di sottrazione o di divisione, ancora non so bene: la matematica non è mai stata il mio forte :).
Musica Jazz_interview Federico Scoppio (mar. 2007)
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta i tuoi primi ascolti musicali. Come ricordi, Giancarlo, quegli anni? La radio, che in quei tempi era un valido veicolo di informazione, trasmetteva molto rock e pop e di conseguenza si assorbiva l’immagine e la cultura degli anni, con quel misto di identificazione e ribellione tipico degli adolescenti. Al jazz mi sono accostato nella seconda metà del decennio, in un ambito dove spesso si coniugava estetica e politica, ricco di intuizioni e anche di tutte le ingenuità e i possibili errori di cui oggi potremmo parlare. Quindi il free jazz, il linguaggio simbolo per esprimere un diffuso senso di contestazione o di rivolta, insomma, free jazz/people power per parafrasare il noto saggio. E soprattutto aveva una grande peculiarità: l’improvvisazione.
Ci torniamo, sul concetto di improvvisazione. In che modo hai invece scoperto il pianoforte? Tu vanti famosi insegnanti come Luca Flores e Franco D’Andrea… Ho iniziato in modo molto semplice: avevo undici, dodici anni, con una maestra di musica vicina di casa. Ma naturalmente, visti i modelli cui puntavo, non avevo un pianoforte ma un organo elettronico, ne ricordo ancora il modello: Bauer Combo. E quindi già un inizio ibrido, tra acustico ed elettronico, fra tradizione e musica del tempo, anche se dal punto di vista dell’impostazione didattica era un po’ un disastro. Ho proseguito con Nino Donzelli, un’istituzione cremonese, complice dei primi esordi di Mina, ma è con Mario Piacentini e Roberto Cipelli, anche lui cremonese e già ai suoi esordi, che mi sono accostato alla tecnica del pianoforte jazz. Terminata l’università ho deciso di impegnarmi e ho frequentato per alcuni mesi Luca Flores, di cui non si parlerà mai abbastanza, e poi i seminari di Siena, dai quali proviene la folgorazione per Franco D’Andrea con cui ho studiato in seguito a Milano. E poi ancora altre cose, tra cui seminari con John Taylor e Mal Waldron. E intanto formazioni di new wave, di rock jazz e di jazz con i musicisti della zona e occasionalmente con quelli che passavano per la città. Come hai sviluppato la pratica e la passione per la musica improvvisata? Ripercorriamo i tuoi ascolti, i maestri e gli incontri. Benché ragazzino serio e studioso, ho sempre rifiutato al pianoforte la noia degli esercizi e non ho mai trovato grande appagamento nell’esecuzione di una partitura né nella ripetizione di un brano. Quello che mi appassionava davvero era mettermi a improvvisare, anche se in effetti probabilmente non conoscevo ancora questo concetto; attaccare di punto in bianco a suonare quei tasti a mio piacimento, che poi di fatto è ciò a cui aspiro ancora oggi. Dei vari incontri ritengo il più importante quello con Franco D’Andrea, maestro a trecentosessanta gradi della tradizione e dell’innovazione, con cui a lezione si parla indifferentemente di Thelonious Monk come di Sigmund Freud.
Questo percorso ha influenzato la tua esperienza nell’insegnamento? Visto che abbiamo appena menzionato Sigmund Freud, ricordo che indica tre «mestieri impossibili»: psicanalizzare, governare e, appunto, educare. Ossia mestieri che prevedono qualità che nessuna autorità può realmente conferire: credo che tutti ne abbiano potuto fare esperienza nella propria vita scolastica. Ciò ovviamente, si badi, non prescinde da tutte le competenze che sono comunque necessarie e indispensabili. La mia esperienza mi dice che anche qui si tratta di interplay: la cosa funziona solo quando constati un reciproco arricchimento e lo sforzo di comprendere l’altro e di ascoltare i suoi processi emotivi e intellettuali, che poi è una via per chiarire i tuoi. Non si tratta solo di trasmissione di un sapere o di una tecnica. In una recentissima intervista Omette Coleman diceva alcune cose su «Sound Grammar» che forse possiamo interpretare così: c’è una grammatica della musica, dal momento che se ne parla e che, sempre nel parlare comune, ha delle categorie; ma il suono esiste da ancora prima e ha qualità e significati diversi. La musica è un pensiero ma, dice Coleman, l’idea è contenuta nella nota. Questo equilibrio tra lingua e parola nell’insegnamento della musica jazz, come in altri linguaggi artistici, di fatto è molto complicato e si tende spesso a semplificarlo in modo normativo o schematico.
Ecco toccato un punto fondamentale della tua estetica. Quando si parla di te, spesso si fa riferimento alla concezione musicale di Ornette Coleman, galeotto ovviamente il tuo primo disco nel grande circuito jazz, «Beauty Is A Rare Thing» (Auand 2004). Quali aspetti della sua musica cerchi di fermare e approfondire? Suonare è anche un processo di ascolto; sulla copertina del primo disco citavo una frase di Borges, una sorta di dedica a tutta quella musica che aveva reso possibile la mia. Insomma, Coleman è uno di quei musicisti che più di altri hanno indicato un nuovo orientamento. Che la bellezza sia una cosa rara si avverte dal fatto che probabilmente risiede altrove: non la si trova nei modelli generalizzati, che comunque possiedono un loro fascino ma una falsa bellezza. L’armolodia è un concetto che in Coleman è sfuggente e in evoluzione nel tempo. Più che una teoria è una suggestione che mi ha aiutato a svincolarmi dai rigidi parametri di armonia, melodia, ritmo, spingendomi a ragionare in modo differente e a considerare la musica, mia e altrui, più in termini di equilibrio e di flusso, di dialettica tra formale e informale, a inquadrarla in uno spazio sonoro e non intenderla unicamente come performance strumentale.
Filosofia, improvvisazione, composizione. In quale modo si collegano le tre conoscenze nella tua pratica musicale?
Innanzi tutto non vorrei incoraggiare troppo l’idea che io sia un musicista filosofale. Anzi, direi che nella musica riverso il mio aspetto meno discorsivo e razionale. Cerco in realtà di non teorizzare troppo, di non sovrapporre una grammatica al sound, per tornare al discorso di prima; diciamo piuttosto che c’è un ragionamento emozionale. Quello di cui la filosofia può renderti consapevole, per esempio, è la complessità. Da qui una chiave di lettura per questo mio, e nostro, tentativo di creare un ensemble che non sia riconducibile alla somma delle sue parti, e far sì che l’improvvisazione sia realmente un comporre istantaneo. Ciò comporta dei rischi ma anche la possibilità di liberare le “idee” colemaniane.
Il quartetto Synapser, con il quale hai registrato i due dischi per Auand, «Beauty Is A Rare Thing» e il più recente «Coherent Deformation», è una formazione stabile, anche nei singoli musicisti. Come li hai scelti e hai mai pensato di cambiarli oppure di variare tipo di organico? Non hai mai avuto il desiderio di invitare qualche artista straniero? Mi sono innamorato di Achille Succi al primo ascolto sebbene in quell’occasione suonasse in un’orchestra, più di una decina di anni fa, e da allora la mia collaborazione con lui è proseguita, in modo sporadico ma costante. Con Tito Mangialajo Rantzer avevo avuto occasione di suonare un paio di volte. Ho incontrato Cristiano Calcagnile direttamente in studio, quando abbiamo registrato il primo Cd: una piacevolissima sorpresa, suggeritami dalla perspicacia di Tito. Mi trovo assolutamente a mio agio con loro dal punto di vista sia musicale sia umano. Sono ormai parte integrante della partitura, di quella partitura approssimata che pensa a un interprete ben preciso. Le note sono importanti almeno quanto gli interpreti. Per quest’ultima incisione in effetti avevo pensato di allargare a un ospite, a condizione che non fosse un semplice incontro o espediente discografico. Mi sarebbe piaciuto avere con noi Erik Friedlander ma ho poi saputo che, dal punto di vista concertistico, lavora esclusivamente sui propri progetti.
Domanda d’obbligo. Come mai ti sei affacciato così tardi sul mercato discografico italiano del jazz? L’idea del mio progetto discografico, «Beauty Is A Rare Thing», è nata dopo un ritiro musicale non breve; dall’urgenza e dal desiderio, quasi la necessità, di dare forma e consistenza al lavoro e a pensieri musicali che sentivo ormai maturi e significativi. La mia è la ricerca di uno stile, di quella personale deformazione coerente che da il titolo a quest’ultimo disco. Unisci questo a una certa pigrizia e a una sorta di rigore…
Come sei arrivato alla Auand di Marco Valente? Nel caso del primo disco ho registrato e in un secondo momento ho cercato un’etichetta discografica che fosse interessata a produrlo. Con mio grande stupore ho ricevuto diverse risposte positive, tra cui c’era la Leo, nel cui catalogo si trova buona parte della storia della musica creativa degli ultimi decenni. La risposta di Auand è quella a cui segretamente aspiravo.
All About Jazz, 10 CD nel CD-Player di… (oct. 2006)
10 CD nel CD-Player di…
GIANCARLO TOSSANI
rubrica a cura di Vincenzo Roggero
01. Kneebody – Kneebody (Green Leaf – 2005).
È davvero il mio disco dell’anno, pregnante e gustoso: libero jazz in libero melting-pop. Enfasi? 02. Glenn Gould – Goldberg Variations.
Bach è un ossimoro (gr. oxymoron “acuta follia”), logica emozionante, rigore appassionante, pensiero lirico… e Gould ne è lo speciale paradossale interprete, un turbine intelligente.
03. Paul Bley – Time Will Tell (ECM – 1994).
Paul Bley maestro dell’ellissi… maestro della one-note-band…
04. Jimmy Giuffre – Jimmy Giuffre 3, 1961 (ECM – 1961).
Paradossale. Dopo 45 anni potrebbe ancora essere il miglior disco dell’anno. 05. Aphex Twin – Come to Daddy (Warp – 1997).
Fin dalla copertina, chiasmico (!): specularità e moltiplicazione, ovvero un twin peaks del remix, un bit torrent multiforme… e poi un po’ di brain dance è un buon compromesso per chi muove poco i piedi e tende a muovere troppo le mani sul proprio strumento.
06. Tim Berne – The Shell Game (Thirsty Ear – 2001).
Il gioco delle tre conchiglie, ma senza barare o forse sì, non proprio dove te lo aspetti, imprevedibile ma solido. Metaforico, mi sento traslato: non esiterei a definire Berne il mio compositore preferito.
07. Jon Ballantyne: Round Again (NY Jam – 2000).
Similitudine? Capita di sentire a volte delle strane coincidenze, magari solo ideali, di afferrare delle cose tra te e l’altro… Imperdonabilmente poco noto, pianista canadese risolutamente moderno. 08. Ornette Coleman – Beauty is a Rare Thing (Atlantic – 1959/61).
Ignorando un’etimologia del… cavolo (cole), Ornette è cole man, l’uomo del passo, ottima guida per valicare i confini, ma anche anacoluto, elaborata ignoranza delle regolarità sintattiche.
To be or net to be? To be Ornette, to be… 09. Zoogoo – Zoogoo
Ossia l’ultima uscita…tanto per dire che le cose escono al di là dei nostri cd-player…della net label You are not stealing records, ovvero: Non stai rubando dischi.
Citazionista: manipolazioni al gusto postmoderno e d’arte povera, dove i manuali dei software prendono il posto dei manuali d’armonia (con simpatiche conseguenze sul pensiero compositivo…) e le net label il posto delle etichette discografiche tradizionali.
10. … visto che nei commenti precedenti mi sono avvalso, come suggestione e a volte come chiave interpretativa, di una figura retorica, non posso che concludere con una di quelle fondamentali: la metonimia, figura della contiguità e quindi… last but not least i CD degli amici… e soprattutto quelli a venire (sia i CD che gli amici).
Prove Aperte, Piero Quarta (oct. 2007)
Capita raramente di imbattersi in ascolti stimolanti, di quelli che fanno rialzare il capo appesantito dal piattume che aspira ad inghiottirci. Mi riferisco a quello che normalmente captiamo con le orecchie e con gli occhi senza poter scegliere. Nel jazz, per fortuna, questo accade meno, forse anche perché nel nostro paese esso rappresenta un’isola circondata da un mare quasi sempre grosso che rende difficoltosi i collegamenti con la terra ferma.
La musica del quartetto Synapser contenuta nel CD “Coherent Deformation” è molto stimolante. Il suo ascolto ridesta dal torpore, esige finalmente attenzione e pretende ripetuti ascolti successivi per scoprire sempre nuovi elementi. E’ musica che non stanca, nonostante la prima apparenza suggerisca una certa difficoltà a concedersi, ma questo dipende solo dalle nostre orecchie sempre più inquinate, come dicevo prima.
Coherent Deformation è la sublimazione del dialogo. Anzi, per dirla meglio, è la rappresentazione di come dovrebbe essere una vera comunicazione tra persone. Un dialogo cioè dove ogni partecipante interviene non per urlare ed imporre agli la propria opinione, pratica che porta inevitabilmente alla sterilità e alla inconcludenza, ma semplicemente per apportare il proprio contributo, sempre pronto ad essere modificato e adattato sentendo le opinioni e le idee altrui. Il tutto per arrivare a proporre all’esterno una opinione comune (il “suono” del gruppo).
I musicisti di Synapser riescono ad ottenere questi risultati e sono il pianista Giancarlo Tossani, il sassofonista e clarinettista Achille Succi, il contrabbassista Tito Mangialajo Rantzer ed il batterista Cristiano Calcagnile. Basta ascoltare il CD per capire che si tratta di musicisti di profonda cultura e preparazione, dotazioni indispensabili per muoversi in terreni apparentemente sconnessi come quelli da loro esplorati.
E’ giusto fare una menzione particolare anche per Marco Valente, curatore della Auand Records a cui va il merito di proporre con questa etichetta discografica lavori di notevole spessore come questo di Synapser, che tra l’altro è il secondo dopo “Beauty is a rare thing” del 2004.
Giancarlo Tossani, che firma otto dei nove brani presenti nel disco, rappresenta un po’ il motore del gruppo, o forse sarebbe meglio dire il punto di aggregazione, sentiti gli sviluppi della musica. Giancarlo ha già avuto modo di farsi apprezzare e la rivista Musica Jazz lo ha proclamato “miglior nuovo talento italiano 2006”. Cerco di fargli alcune domande suggeritemi dalla curiosità di sapere se qualche mia intuizione scaturita dagli ascolti sia più o meno aderente alle intenzioni del gruppo e anche per far conoscere a me e a chi legge ulteriori particolari su questo progetto.
La prima domanda è questa: L’ascolto reciproco, quando si suona, è molto importante. Nelle vostre performance ciò è l’elemento essenziale. Vi capita a volte di trovare, mentre state suonando, sviluppi inaspettati del vostro dialogo che vi portano da un’altra parte rispetto a quello che magari intendevate fare inizialmente? Certamente, e come in ogni conversazione una piega inaspettata può rivelarsi estremamente interessante e feconda. Ovviamente il rischio sempre presente è quello di perdere il filo. Ma più che usare meccanismi precostituiti e strutture rigide per articolare il discorso cerchiamo di seguire piuttosto il principio di un ascolto reciproco attento e stimolante. Per parlare in modo specifico della musica di “Coherent deformation” partirei con “Translated Rooms”, il brano di apertura, dove si nota come l’improvvisazione collettiva, che rappresenta lo sviluppo del brano, parta da variazioni sempre più articolate del tema iniziale. E’ un modus operandi predefinito? La variazione tematica è uno degli espedienti formali basilari per dare coerenza al discorso improvvisativo e quindi viene usato frequentemente. Però hai visto giusto… il titolo stesso sottintende a questo. Il tema di “Translated Rooms” vuole essere una traduzione-variazione di un certo tipo di tema. In questo senso è il più “jazzistico” del cd. Ma appunto tradotto, in modo allusivo. C’è un gioco di parole nascosto nel titolo, celato volutamente dall’uso improprio di rooms anzichè stanzas, “stanza” nella sua accezione poetica, come strofa. Se letto in italiano, pur mantenendo l’ambiguità, diventa più chiaro, stanze tradotte, come dire…elementi melodici e formali ripresi da altre composizioni ma mutati, allusi appunto, genericamente citati ma trasformati.
In “Sound For Swimming” si ascoltano alla fine, dopo vari sviluppi improvvisativi, punti di raccordo rappresentati da frammenti melodici esposti all’unisono dal sax contralto e dal contrabbasso, o dal sax contralto e dal piano o altro. E’ una cosa che hai previsto in fase di composizione? Non ricordo ora con precisione l’andamento di questa sessione di registrazione…ma è un po’ come alla fine di un “dialogo”, riprendendo questa immagine, questa lettura che hai dato della nostra musica nella tua prima domanda, stringersi a turno la mano al momento del congedo…comunque per me il tema è essenziale come elemento formale, motore e cornice sostanziale di quel che accade poi, elemento generatore e non solo una cornice vuota, anche se bellissima.
“Hip Hop Zero Up And Down” parte dalla libertà totale rappresentata dall’improvvisazione collettiva fino a giungere anche qui ad un tema finale proposto in unisono. Dà l’idea di un trovarsi dopo una lunga ricerca. E’ così?
In questo brano più che in altri c’è un elemento narrativo, in un senso particolare naturalmente, che alcuni hanno colto e che probabilmente è radicato nel progressive-rock dei miei ascolti giovanili, in certi dischi che avevano con un po’ l’andamento del poema sinfonico, che so… i Genesis per esempio. Insomma un’articolazione musicale con momenti, episodi che potrebbe fare pensare o immaginare storie diverse, comunque appunto cammini differenti che si ritrovano nello scioglimento finale all’unisono.
Nel brano “The Fog”, l’unico che non porta la tua firma, scritto da John Carpenter, il delicato dialogo tra il piano ed il clarinetto ben rappresenta il senso di sospensione che ci si può trovare a vivere in particolari momenti. Ogni riferimento al titolo è puramente casuale? Apprezzo molto i film di Carpenter e anche le musiche che lui stesso compone, la loro semplicità ed efficacia. In particolare “The Fog”, un “horror politico” che in modo fantastico ma lucidissimo esplicita l’aspetto cruento e di sopraffazione in cui è radicata la storia del Nuovo Mondo. Tutti noi quattro della band poi siamo di area padana, cresciuti con la nebbia, spesso anche una nebbia non solo atmosferica… L’atmosfera sospesa comunque è già nell’originale, nell’impalpabile del titolo.
“Band Up Art” rappresenta per me il dissolvimento della struttura. L’immagine che l’ascolto evoca in me è quella di un treno preso al volo senza vedere la destinazione, perché la cosa più importante in quel momento è allontanarsi dalla stazione di partenza (la struttura). Mi devo far vedere da un bravo specialista o trovi qualcosa di rispondente ai vostri intendimenti? Anche qui c’è un giochino, basato sull’omofonia con Bande à part, un film di Jean-Luc Godard degli anni ’60. La scena forse più famosa è quella della corsa a perdifiato e scanzonata nelle gallerie del Louvre nel tentativo di stabilire il minor tempo di permanenza in questo “tempio dell’Arte”, un po’ come questa corsa del treno che l’ascolto ti evoca che è un po’ una scommessa come nel film e che allo stesso modo poco si sofferma sulle strutture consolidate…. Comunque come vedi anche qui ritorna quella suggestione narrativa che io trovo sia presente nella nostra musica.
“Double- Face” è il brano che più amo riascoltare. Contiene elementi musicali di notevolissimo spessore. Il movimento armonico del piano che sostiene la linea melodica del sax all’inizio, che si sviluppa poi in un suo fraseggio ricchissimo di variazioni ritmiche e poi si ripropone da solo alla fine è realmente interessante. Sembra un brano pervaso sempre dalla ricerca di un contrappunto cameristico. Ci puoi dare qualche altra informazione sulla costruzione di questo brano? In effetti c’è questo tipo di intenzione. Il brano ha una struttura molto tradizionale, la più tradizionale del cd, ossia AABA, ciascuna sezione di otto battute. Ma il “tema” nelle prime cinque battute della sezione A è però suddiviso in due parti uguali, con due linee melodiche sovrapposte nella prima parte e poi riprese ma invertite di posizione nella seconda parte. Da qui il titolo appunto. Anche nello sviluppo dei “soli” paralleli di sax e piano, nel loro dialogo, c’è questo tipo di inversione. Nella prima parte il sax è predominante e il piano in sottofondo, poi, attraverso una specie di dissolvenza incrociata, le posizioni dei due strumenti si invertono. Naturalmente il lavoro in sala è ben diverso dalle performances dal vivo dove, sono sicuro, la vostra musica riuscirà ad essere a tratti anche trascinante e sempre coinvolgente. Vivendo in posti diversi, anche se abbastanza vicino, e dovendo curare anche molteplici impegni lavorativi paralleli, le occasioni per vedervi e portare avanti le tematiche di Synapser vanno ritagliate accuratamente. Riuscite ad incontrarvi spesso o almeno in maniera per voi soddisfacente? Purtroppo no… ma non voglio aprire parentesi circa la difficoltà di presentare un progetto originale e che si vorrebbe con una lunga prospettiva temporale, credo che tutti i musicisti ne siamo amaramente consapevoli. Avete altri progetti e idee, magari da testimoniare su CD prossimamente? Niente di preciso, mi piacerebbe però accentuare l’aspetto elettrico, utilizzando il Rhodes per esempio e il basso elettrico. L’abbiamo già fatto in qualche concerto. Per quanto mi riguarda in particolare poi, questo mi aiuta a svincolarmi dall’aspetto prepotentemente armonico del pianoforte e approfondire invece, grazie all’elettronica, altri parametri sonori.
1. LA CRONACA (jan 2007)
Giancarlo Tossani, com’è noto, è stato nominato “miglior talento jazz 2006” dalla rivista “Musica Jazz”. L’abbiamo contattato e ne abbiamo ricavato l’intervista che riportiamo.
Prima di questa conversazione, va precisato, abbiamo ascoltato con attenzione i suoi due cd “Beauty Is a Rare Thing” del 2004 e “Coherent Deformation” del 2006, entrambi eseguiti con il gruppo “Synapser” costituito, oltre che da Tossani al pianoforte, da Achille Succi al sax e al clarino, da Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e da Cristiano Calcagnile alla batteria.
L’impressione ricavata fin dal primo istante si è materializzata in una notevole sorpresa, legata soprattutto alla creatività, alla maturità e all’innovazione stilistica che emergono da queste due opere.
Puoi delineare in breve il percorso che ti ha portato a decidere di pubblicare questi due straordinari cd? E perché con la Auand? La decisione è nata dal desiderio, o forse dalla necessità, di una verifica del mio percorso musicale, di un punto fermo… inizialmente non sapevo se fosse un punto esclamativo o interrogativo, ma direi ora che il bilancio è positivo… Dopo la registrazione, con un certo stupore e molta soddisfazione sono stato immediatamente contattato dalla Leo Records, la nota e prestigiosa etichetta inglese che ha in catalogo buona parte della storia della musica creativa degli ultimi decenni: S.Lacy, A.Braxton, Sun Ra, Art Ensemble of Chicago tanto per dire i primi nomi che mi vengono in mente… Ma in realtà, fin dal principio, la mia idea era di pubblicare in Italia con AUAND, da parte di cui, fortunatamente, ho trovato piena partecipazione e sostegno. È un’etichetta relativamente giovane ma molto attenta e selezionata: gli ottimi risultati e riconoscimenti nel Top Jazz di questi anni stanno a dimostrarlo. Come si è formato il quartetto e da dove nasce l’eccezionale affiatamento reciproco che si percepisce dall’ascolto? Inizialmente si è formato attorno al progetto discografico e al mio sodalizio, sporadico ma di lunga data, con Achille Succi. Direi che in genere è molto importante scegliere bene i musicisti, nel jazz non sono solo interpreti ma parte integrante della partitura e ancor più nel mio caso. Ho cercato quindi musicisti sensibili a nuovi orientamenti e interessati a un progetto basato proprio sulla tessitura comune del processo musicale. Il nome del gruppo allude proprio a questo, Synapser significa qualcosa come “connettore di sinapsi”.
Ultima domanda: quali sono a tuo parere gli aspetti che differenziano “Coherent Deformation” da “Beauty Is a Rare Thing”? Direi che “Beauty Is a Rare Thing” si confronta con gli aspetti più strettamente jazzistici della mia esperienza musicale, cercando di trovarne una sintesi, un equilibrio. Con “Coherent Deformation” il tentativo è quello invece di allargare lo spazio sonoro, in modo più articolato e con altri riferimenti. Direi che, se la caratteristica del primo cd è l’equilibrio, quella del secondo è la stratificazione, il primo si sviluppa in orizzontale, il secondo in verticale, credo…
2. CREMONA PRODUCE (feb 2007)
Sotto il segno di Paul Bley: Giancarlo Tossani, miglior talento jazz dell’anno
Giancarlo Tossani, pianista e compositore cremonese, ha ottenuto un riconoscimento di grande prestigio: è stato nominato miglior talento jazz dell’anno dalla rivista “Musica jazz”!Con la sua band”Synapser”ha realizzato due ed pubblicati dalla rinomata etichetta Auand:”Beauty Is a Rare Thing” nel 2004 e”Coherent Deformation” nel 2006. Prodotti raffinati, colti, deliziosi e autenticamente creativi, sia nei contenuti musicali che nella confezione. Dischi che non a caso hanno scalzato in graduatoria quelli di nomi ben più noti del settore, non solo per questioni tecniche, ma, a nostro parere, per la rara capacità di uscire da quell’aura di “maniera” che accomuna tante espressioni del jazz contemporaneo, non solo a livello nazionale.
Le domande che ti rivolgo hanno origini prevalentemente emozionali, nel senso che nascono direttamente dalle impressioni nate dall’ascolto dei tuoi due dischi. Ciò che colpisce in primo luogo è la grande maturità della musica, non solo a livello di tecnica, ma più in generale nello stile. Viene spontaneo dunque chiedersi quale apprendistato ha alle spalle Tossani, quali esperienze e percorsi musicali hanno preceduto queste due ottime opere. Ho iniziato lo studio del pianoforte da ragazzino, non ero certo un allievo modello, mi piaceva improvvisare ed ero attratto dalle “altre” musiche, e poi ho proseguito alla scuola di Nino Donzelli. Ma è solo negli anni dell’università e in seguito che mi sono dedicato in modo più approfondito allo studio del linguaggio jazzistico. Ho conosciuto Roberto Cipelli e poi Mario Piacentini, Luca Flores, ho frequentato seminar! con Mal Waldron e John Taylor, insomma tutta la trafila necessaria… Ma è importante ribadire l’aspetto dell’ascolto: i concerti e i musicisti che ho incontrato grazie al Festival Jazz della nostra città per me sono stati e sono tuttora estremamente importanti per capire e cogliere delle cose al di là dell’orizzonte immediato.
Un altro pensiero che sorge immediato riguarda la straordinaria sintonia tra i musicisti: un autentico gruppo, nel senso che il tutto supera di gran lunga la somma delle parti (aspetto che non sempre trova conferma nel jazz, dove none raro percepire le singole personalità come non del tutto amalgamate). Da dove nasce questo accordo perfetto? Programmaticamente il nome della band Synapser significa qualcosa come “creatore, connettore di sinapsi’. Di conseguenza interpreto il mio ruolo di “leader” non nel senso tradizionale di figura predominante del gruppo ma casomai come quello di “synapser”, sollecitando buone connessioni tra i musicisti, attivando processi di relazione e di scambio. In questa sorta di “eco-sistema” che è un gruppo musicale è importante che tutti colgano e trasmettano segnali, siano compartecipi. Il cuore di questo “accordo perfetto” è quella che considero un’affinità elettiva, e anche un po’ misteriosa, con Achille Succi, di cui mi sono “innamorato” al primo ascolto, più di una decina di anni fa, in un concerto di Progetto Jazz. Da allora la mia collaborazione con lui è proseguita, in modo occasionale ma continuativo, fino a farne una figura per me imprescindibile. Tito Mangialajo incarna perfettamente la figura dell’accompagnatore, direi un po’scherzando una sorta di idea platonica del contrabbassista, discreto ma al contempo presente, versatile ma sempre pertinente, sobrio ma intelligentemente propositivo. Precedentemente alla registrazione del primo cd non conoscevo invece Cristiano Calcagnile (sebbene sia anche il batterista di Stefano Bollani), me l’ha portato in studio Tito ed è stata… una magnifica sorpresa! Tellurico! Sia lui che la buona quantità di chili di “ferramenta sonora” che lo accompagna…
Non so se è un atteggiamento mentale da condannare, ma ascoltando questo tipo di musica, complessa, ricca di apporti e di suggestioni, viene spontaneo andare alla ricerca di quelle che in linguaggio filologico si possono definire “fonti”. In altre parole, nella scrittura dei brani, hai tenuto presente qualche modello particolare, qualche autore o corrente che ha lasciato tracce particolarmente profonde in te? (Premetto, prima di conoscere la risposta, che in ogni caso, le eventuali fonti di ispirazione, deliberate o latenti, sono state perfettamente metabolizzate da Tossani, che ha elaborato una musica “sua” dotata di un marchio inconfondibile). Nella copertina del primo cd di Synnapser, tra l’altro dedicato a Ornette Coleman, avevo posto un paio di versi di Borges: “Menino vanto altri delle pagine che hanno scritte; il mio orgoglio sta in quelle che ho lette”. Suonare è un processo di ascolto certamente, non solo per gli innumerevoli ascolti che lo hanno preceduto, che ti hanno formato, di cui onestamente e orgogliosamente farsi vanto, ma è anche, o dovrebbe essere, far sì che il tuo ascolto ti sorprenda, ti faccia ascoltatore tra gli ascoltatori, reali o immaginari che siano. E qui siamo, se vogliamo tracciare un percorso, alla ricerca di quella “deformazione coerente” (Merleau-Ponty), di uno “stile” che il secondo ed di Synapser fin dal titolo cerca di esplicitare. I nomi sarebbero forse molti, per limitarsi ai pianisti, tra quelli storici direi Paul Bley, in questo momento invece uno con cui trovo molte affinità è Craig Taborn, ma mi accorgo che, imprevedibilmente?, sono determinanti anche cose della mia adolescenza, il pop, il rock, il progressive; in questi giorni per esempio sto riascoltando gli Henry Cow, mi accorgo di conoscerne ancora i dischi a memoria…
Altra curiosità: quanta libertà hanno i musicisti rispetto alla partitura scritta? Quanto margine ha l’improvvisazione? Quanto grande è l’apporto individuale che gli altri musicisti possono inserire nei brani? In genere la composizione che sottopongo ai musicisti non ha una forma definitiva a priori, è piuttosto una cornice, un progetto a cui essi, pur certamente nell’ambito della direzione che suggerisco, sono chiamati a contribuire con la propria sensibilità e creatività, un modello di interazione, più che una forma chiusa. L’improvvisazione ha una parte importante, proprio nel suo significato di composizione istantanea.
Ultima delle tante domande che ti vorrei rivolgere, ma che devo contenere per ragioni di spazio: la dimensione del concerto dal vivo: quali differenze rispetto alla performance in studio?E soprattutto: quali difficoltà per trovarsi uno spazio in cui esibirsi di fronte ad un pubblico? Banalmente le differenze sono che in studio non c’è un pubblico, quello che sbagli potenzialmente lo puoi rifare, la lunghezza dei brani è condizionata da misure più o meno standard, quel “particolare” che incidi diviene “universale” e rimane nel tempo. Cioè in studio hai a che fare con una temporalità astratta e una materia governabile, in concerto sei “nel” tempo il che è insieme eccitante e frustrante. Le difficoltà pratiche sono legate alle sempre più scarse risorse dedicate al jazz, fortemente presente nel nostro immaginario musicale ma spesso scarsamente presente nelle politiche reali.
* Comunicato Stampa *ITA, All About Jazz, Emmanuel Di Tommaso (mar 2020) *ITA Strategie Oblique, Roberto Paviglianiti (2019) *ITA Rockerilla, Francesco Buffoli (feb. 2020) *ITA Editor’s Picks di JAZZIT 109 (gennaio febbraio marzo 2020) *ITA Editor’s Picks di JAZZIT 109 (gennaio febbraio marzo 2020) *ITA Musictraks (2019)
COMUNICATO STAMPA Giancarlo Tossani “Strange Spy”
All tracks composed*, produced, played and mixed by Giancarlo Tossani
(*except Blackbird by Lennon-McCartney) Executive Producer: Marco Valente Mastered by Filippo Strang (VDSS Recording Studio)
Cover Photo: GT & RBD http://auand.com/au2003 Impegnato in una nuova avventura in solitaria, Giancarlo Tossani porta in casa Auand un lavoro che è allo stesso tempo una sfida e un gioco di specchi: Strange Spy, in uscita il 7 giugno 2019 solo sulle piattaforme digitali.
Come spiega lo stesso musicista, «Strange Spy è l’anagramma di G.T. Synapser, ovvero la band con cui da anni, principalmente, propongo le mie idee musicali. Questa strana, bizzarra spia potremmo quindi considerarla una sorta di alter ego. Un insolito straniero che in una prospettiva musicale anti-romantica dialoga con gli espedienti della tecnologia musicale e le risorse dei menu, alle prese a volte con “Note che non sono le mie”, per parafrasare il titolo del libro di Emmanuel Carrère».
Dopo ben tre album con i Synapser, che avevano reso la band una delle più prolifiche con il marchio Auand Records, con queste tracce Tossani rivela un approccio completamente diverso. Un po’ con l’intento di fare pratica con apparecchi e software che oggi dominano la scena, un po’ per provare a domare la macchina con elementi creativi che vengono fuori dalle falle della tecnologia stessa, parte alla ricerca delle possibilità offerte da circuiti e sistemi binari. Con pazienza e curiosità, il suo scopo è quello di mettere in primo piano proprio l’aspetto meno accattivante del dialogo uomo-macchina: non la perfezione e la linearità, ma l’inatteso. Sono gli imprevisti a diventare a loro volta uno spunto per l’improvvisazione. «È quello che generalmente caratterizza buona parte della mia produzione – aggiunge il pianista – di solito con buoni partner umani e qui invece con un partner che non ha un volto umano ma estremamente servizievole e compiacente». Ma un creativo come Tossani non avrebbe mai potuto omettere la componente umana: nel gioco rientrano anche composizioni vere e proprie, e brani con una parte rilevante di scrittura. Per rendere ancora più vivo lo scambio tra umano e digitale.
ENG
Engaged in a new solo adventure, Giancarlo Tossani brings to Auand a work that is both a challenge and a game of mirrors: Strange Spy, to be released on 7 June only on digital platforms. As the musician himself explains, “Strange Spy is the anagram of G.T. Synapser, the band with which for years, mainly, I propose my musical ideas. We could therefore consider this strange, bizarre spy a sort of alter ego. An unusual foreigner who in an anti-romantic musical perspective dialogues with the expedients of music technology and menu resources, sometimes dealing with “Notes that are not mine”, to paraphrase the title of the book by Emmanuel Carrère “.
After three albums with Synapser, which had made the band one of the most prolific with the Auand Records brand, with these tracks Tossani reveals a completely different approach. A little with the intention of practicing with appliances and software that today dominate the scene, a bit to try to tame the machine with creative elements that come out of the flaws of the technology itself, partly in search of the possibilities offered by circuits and binary systems. With patience and curiosity his purpose is to put the less appealing aspect of man-machine dialogue in the foreground: not perfection and linearity, but the unexpected. The unforeseen circumstances in turn become a starting point for improvisation. “It is what generally characterizes a good part of my production – the pianist adds – usually with good human partners and here instead with a partner who does not have a human face but extremely helpful and complacent”. But a creative like Tossani could never have omitted the human component: the game also includes real compositions, and pieces with a significant part of writing. To make the exchange between human and digital even more vivid.
ITA, All About Jazz, Emmanuel Di Tommaso (mar 2020)
Proprio dopo aver raggiunto l’ideale sublimazione sonora e l’equilibrio strutturale nell’album Newswok con il progetto Synapser ed il contributo di Ralph Alessi, il pianista e compositore di stanza a Cremona rimescola le proprie carte creative ripartendo (quasi) da zero con il progetto-disco Strange Spy che, fin dal titolo (anagramma di G. T. Synapser), si presenta in quanto alter ego o, come spiega lo stesso Giancarlo Tossani nel comunicato stampa di uscita dell’album, come “un insolito straniero che in una prospettiva musicale anti-romantica dialoga con gli espedienti della tecnologia musicale e le risorse dei menu, alle prese a volte con ‘Note che non sono le mie,’ per parafrasare il titolo del libro di Emmanuel Carrère.”
Strange Spy è sostanzialmente una sorta di gioco di specchi, ma di quelli molto seri, in cui Tossani, con il coraggio e la curiosità di quegli artisti che, come le migliori spie, non temono di sdoppiarsi e diventare altro da sé stessi, integra distorsioni, loop alienanti, spasmi di drum machine, campionature di rumorismi e vociferazioni ed altri elementi elettronici e digitali derivanti da apparecchiature e software molto in voga nell’attuale panorama musicale, con composizioni e sonorità di derivazione umana, con il suo immancabile pianoforte minimale al centro di questa tempesta sonora. Un progetto assolutamente innovativo, sia concettualmente che formalmente, che tuttavia non sradica del tutto Tossani dal percorso artistico intrapreso, grazie alla presenza di alcuni elementi di coerenza: l’interazione in particolare, concepita sempre come opportunità di risonanza. Ciò che in Strange Spy cambia rispetto al passato sono i soggetti (o meglio: gli oggetti) dell’interazione, che non avviene più solo fra strumenti musicali suonati da esseri umani, ma anche fra rumorismi digitali prodotti dalle strumentazioni, in una relazione uomo- macchina che, intensificando il paesaggio sonoro, scatena imprevisti più che linearità, espansioni invece che confinamenti. Il risultato è un monolite sonoro allarmante e distopico che genera sinapsi oscure e inebrianti. Ridurre tuttavia Strange Spy a una mera ricerca stilistica fine a sé stessa, sarebbe fuorviante. Ciò che Tossani vuole smascherare è, in ultima istanza, l’imprevedibilità e l’inconsistenza dei frutti dell’automazione. Siamo di fronte a un’opera d’arte totale, che, in quanto tale, è specchio del nostro tempo. https://www.allaboutjazz.com/strange-spy-giancarlo-tossani-auand-records
ITA Strategie Oblique, Roberto Paviglianiti (2019)
«[…] Lavoro di solito con buoni partner umani e qui invece con un partner che non ha un volto umano ma estremamente servizievole e compiacente». Si riferisce al computer, e alla strumentazione elettronica in genere, il pianista Giancarlo Tossani che nel suo lavoro “Strange Spy” mette insieme quattordici tracce in solo. Ne deriva un album dal piglio sperimentale, con passaggi accennati, situazioni compiute e momenti di estrema visionarietà. Tossani lavora addizionando suoni sintetici alle sue linee pianistiche, capaci di prendere direzioni spiazzanti e vivere attraverso una tensione estetica che si avverte per tutta la durata della performance.
ITA Rockerilla, Francesco Buffoli (feb. 2020) Giancarlo Tossani, evidentemente, preferisce gli spigoli alle superfici piane; ama l’ostacolo, l’incongruenza sintattica, più della linearità; e il confronto con le sterminate possibilità offerte dai software sembra averlo stimolato a esplorare territori sempre più originali e insoliti, dove alla scrittura vera e propria si abbinano “note che non sono le sue” (per parafrasare Emmanuel Carrère). Gli esiti sono notevoli: il pianista elabora una sorta di psichedelia jazz avveniristica e dominata dalle sonorità digitali. Non vi sono forse brani memorabili, ma Strange Spy è più che altro un esperimento, e gli esperimenti, se sviluppati con competenza, sono sempre INTERESSANTI.
ITA Editor’s Picks di JAZZIT 109 (gennaio febbraio marzo 2020)
” Strange Spy ” è l’anagramma di G.T. Synapser, ovvero del nome del quartetto con cui Giancarlo Tossani ha costruito il suo più recente percorso artistico: ci è utile sapere che questa “ spia strana ” a cui fa riferimento il titolo dell’album – distribuito esclusivamente su digitale – non è altro se non il desiderio di sperimentare nuova musica, ma questa volta in solitaria. L’autore elabora il suo zibaldone di pensieri come un alchimista, tra pianoforte e software, tra suoni analogici ed elettronici, alternando campionatori, distorsioni, loop , drum machine e tappeti sonori tanto ipnotici quanto carichi di groove.
ITA Musictraks (2019)
Com’è nel costume di musictraks (Le nostre recensioni sono effettuate in diretta: ascoltiamo il disco e ne scriviamo, brano per brano) il commento Traccia per traccia.
Dopo un’Intro che sembra servire soprattutto ad avviare la macchina, ecco tutti i rimbalzi sotterranei di A Lot of Hats, che armeggia e frigge con qualche riflesso industrial.
Precept Diversity apre le porte a una varietà di giochi sintetici che si allarga sempre più, lasciando sensazioni jazz.
Scivola sotto la superficie invece School Off, portandosi dietro piccoli battiti e armeggiamenti vari, operando soprattutto sul drumming.
Aphresis (to DFW) sembra spogliarsi di qualsiasi sentimento e vestirsi soltanto di battiti, prima che emergano suoni e poi anche voci che vanno ad affollare il brano.
Molto più “melodico” e fluido il discorso impostato da Unwise Veils, che lascia sempre spazio a simil-improvvisazioni di stampo jazz, ma su un tappeto sonoro più classico.
Pianoforte, minimalismo e piccole distorsioni costellano l’inquietante King to King.
Il pianoforte domina anche Disclosure, ma qui i sentimenti sono più pieni e l’atmosfera più oscura.
Situazioni estremamente vertiginose quelle messe in moto da The Still Point, una sorta di battaglia fra analogico ed elettronico.
Fun Angle torna alla fluidità precedente, inframezzata da battiti piuttosto pesanti e corposi.
Note in apparenza casuali quelle di Skipping indeed, con voci che contribuiscono con mormorii di fondo.
Con Retrochord ci si trasferisce al jazz club e ci si tuffa testa avanti in un flusso di note molto consistente.
Titolo beatlesiano per Blackbird, che cinguetta al piano con note alte e libere. Il disco chiude con un’Outro che lascia spazio al piano.
Un lavoro interessante e ricco di spunti, quello di Giancarlo Tossani, che si mette a giocare con macchine diverse ottenendo risultati spesso notevoli.
ITA Blogfoolk, Salvatore Esposito, 2017
ITA Alberto Bazzurro, 2017
ITA Extra Music, Giancarlo De Chirico, 2017
ITA Jazz Convention, Gianni Montano, 2017
ITA, Roberto Paviglianiti, 2017
ITA AudioReview, Enzo Pavoni, 2017
ITA online-jazz.net, Gerlando Gatto, 2017
ITA Jazz Convention, Gianni Montano, 2017
Enrico Merlin, oltre che chitarrista, è un grande esperto e studioso di Miles Davis, autore di un volume fondamentale dedicato a Bitches Brew, pietra miliare nella discografia del “Divino”. Molester sMiles è un collettivo di sei elementi che comprende, insieme a Merlin, una lussuosa front-line sassofonistica con Achille Succi e Massimiliano Milesi, un tastierista progettuale come Giancarlo Tossani e infine bassista e batterista d’assalto, cioè Giacomo Papetti e Filippo Sala.
La musica del cd si ispira al Davis elettrico, quello degli anni settanta, prima del ritiro dalle scene, cioè, secondo una reinterpretazione che contiene elementi sicuramente interessanti.
Nelle nove tracce del disco si rileva un potente senso del blues, componente essenziale di ogni pezzo e una serpeggiante vena melodica ad arrotondare, a smussare qualche angolo di una musica di impatto prepotente, penetrante. Il punto di forza dell’album è rappresentato dai dialoghi, dai botta e risposta fra Succi, spesso al clarinetto basso, come Bennie Maupin nella band di Davis e Milesi, sopranista, alter ego teorico di Wayne Shorter. I due sassofonisti intrecciano le loro voci taglienti e narrative al tempo stesso, riempiendo gli spazi lasciati aperti nel fondale elettrico messo in piedi da Tossani, spesso al fender Rhodes per riecheggiare gli anni settanta e da Merlin, volentieri alle prese con i distorsori, con gli effetti wah wah, per rinforzare il sottofondo funk. Il tutto, poi, è movimentato da un basso e da una batteria pesantemente inclinati verso la fusion, per completare un quadro a tinte decise, pur custodendo pause e momenti di sospensione, di attesa.
Delle dieci tracce solo due sono a firma del “molestatore”, secondo una definizione che lo stesso Davis si era attribuito dopo la denuncia e successiva assoluzione per aver sequestrato una ragazza a casa sua. Gli altri titoli sono originals di cui sono autori i componenti della formazione.
Il vertice dell’album è rappresentato proprio da Ife del “Principe delle tenebre”, che contiene un un giro di basso ripetuto incessantemente, mentre l’atmosfera da lenta e cadenzata sale gradualmente di pressione, sotto la spinta del soprano di Massimiliano Milesi in ascesa vertiginosa, dopo aver carburato adeguatamente.
Social Music non può essere definito esclusivamente un omaggio all’arte di Miles Davis. Sarebbe riduttivo. Semplicemente Merlin e soci ritengono che da questo genere di suoni intrisi nel jazz, nel rock e in altri stili che assorbono quello che ruota attorno, si possa ancora muovere per costruire qualcosa di personale.
ITA, Roberto Paviglianiti, 2017 http://strategieoblique.blogspot.it
Dedito da diversi alla figura e all’arte di Miles Davis, il chitarrista Enrico Merlin assembla i Molester sMiles, collettivo di musicisti composto da Massimiliano Milesi ai sassofoni, Achille Succi al sassofono contralto e clarinetto basso, Giancarlo Tossani al Fender Rhodes, laptop ed elettronica, Giacomo Papetti al basso elettrico e Filippo Sala alla batteria. La loro principale fonte d’ispirazione è il cosiddetto “periodo elettrico” di Miles, il momento in cui il leggendario trombettista metteva in connessione sonorità acustiche ed elettriche, sperimentando forme e modi alla ricerca di territori espressivi altri. Nel loro “Social Music” i Molester sMiles operano un lavoro lontano dalle rivisitazione fine a sé stessa (di Miles sono rielaborati un paio di brani) e costruiscono una propria estetica che predilige sonorità funky, atmosfere che richiamano sì gli anni Settanta, ma con piglio di stretta attualità, anche grazie all’utilizzo di effetti ed elettronica. C’è della melodia nei temi proposti e ci sono passaggi solisti più inclini alla forma libera, in un insieme che emana una netta voglia di sperimentare, provare e azzardare soluzioni.
ITA AudioReview, Enzo Pavoni, 2017
Sebbene sia affascinante, tentare di penetrare l’universo del primo periodo elettrico di Miles Davis comporta rischi: le brutte figure sono dietro l’angolo. Eccetto gli omaggi di titolati partner del trombettista, tipo Shorter, Zawinul, Hancock, Carter o Corea, i restanti si sono rivelati in gran parte derivativi. Certo, i progetti realizzati una dozzina di anni fa su Cuneiform de Henry Kaiser e Wadada Leo Smith vantano qualità notevoli, ma trattandosi di sperimentatori – quindi, abituati a “ricreare” daccapo qualsiasi materiale – non concepiscono i compitini copia-e-incolla. Fanno così anche i Molestar sMiles, protagonisti di questo buon esordio dove si divertono a giocare col nome di Miles, magari per accattivarsene lo spirito inquieto. L’approccio filosofico del gruppo è evidente già dal titolo, “Social Music”: cosi rispondeva Davis a chi gli chiedeva di definire la sua formula all’inizio dell’epoca elettrica. Pur non vantando l’imponente background di Kaiser & Smith, il sestetto allinea comunque nomi apprezzati da tempo nel panorama del jazz nostrano più ricercato, a cominciare dall’esperto Achille Succi (sax contraito, clarinetto basso) e da Massimiliano Milesi (sax soprano e tenore). Giancarlo Tossani suona le tastiere, Enrico Merlin la chitarra, Giacomo Papetti il basso elettrico (e tutti e tre non disdegnano le alterazioni elettroniche), Filippo Sala la batteria. I nove episodi di “Social Music” (solo “Black Satin” e “Ife”, in origine proprio di Miles Davis, non sono autografi) conducono nei gangli stordenti della metropoli, con le pulsazioni cardiache del basso funk e i battiti di tamburi dagli echi tribali, mentre tappeti di tastiere acidule agevolano gli interventi al calor bianco dei fiati e della straniante sei corde. A proposito di Sala e Milesi, ammirateli con Tracanna e Corini nel notevole “Double Cut”. ITA online-jazz.net, Gerlando Gatto, 2017
I Molester sMiles sono un sestetto nato per iniziativa del chitarrista Enrico Merlin che ha chiamato a collaborare i sassofonisti Massimiliano Milesi e Achille Succi, il tastierista Giancarlo Tossani, il bassista elettrico Giacomo Papetti e il batterista percussionista Filippo Sala. L’intento è chiaramente esplicitato nel titolo del disco che richiama una celebre dichiarazione di Miles Davis il quale, nel corso di una intervista dei primi anni ‘80, definì il jazz “social music”. Il gruppo, al suo debutto discografico, intende, quindi, ripercorrere le vie del ‘Miles elettrico’ ossia di quell’artista che a cavallo tra i sessanta e i settanta seppe dare, per l’ennesima volta, una decisa evoluzione al linguaggio musicale, non solo jazzistico. Ma seguire le strade di Davis, almeno in questo caso, non significa ripercorrerne le orme in modo pedissequo, ché l’operazione sarebbe risultata sicuramente perdente, quanto cercare di ricreare un clima, un’atmosfera che in qualche modo riconduce l’ascoltatore alle atmosfere davisiane di quegli anni. Di qui anche la scelta intelligente di un repertorio che comprende solo due composizioni, per altro splendide, di Davis, “Black Satin” che apre l’album e “Ife”, accompagnate da sette brani originali scritti da Merlin, Tossani, Milesi e Papetti. E per capire quanto l’obiettivo sia stato centrato, basti a nostro avviso ascoltare “Ritual” di Enrico Merlin in cui il gruppo si esalta in un convincente gioco d’assieme impreziosito, però, da una serie di assolo che vedono protagonisti tutti i membri del sestetto. Davvero un ottimo disco d’esordio per questo gruppo di cui sentiremo ancora parlare.
*Press Release *ITA jazzitalia.net, Vincenzo Fugaldi (aug.2016)
*ITA Musica Jazz, Lorenza Cattadori (jun.2016)
*ITA Musica Jazz, Enzo Boddi (nov.2015)
*ITA All About Jazz Italia, Vincenzo Roggero (oct.2015)
*USA All About Jazz USA, Dave Wayne (may.2015)
* ITA lisolachenoncera.it, Alberto Bazzurro (nov. 2014)
*USAwonderingsound.com, Dave Sumner (oct.2014)
*ITA, Suoni e Strumenti, Roberto Valentino (sep.2014)
*ITA Jazzit, Luciano Vanni (jan.2015)
*ITA Jazz Convention, Fabio Ciminiera (oct.2014)
*USA Bird is the Worm, Dave Sumner (oct.2014)
Press Release
Terzo episodio di un’avventurosa ricerca musicale chiamata Synapser, Newswok ha tutte le carte in regola per timbrare a fuoco con il marchio della qualità più sofisticata il quartetto del pianista e compositore cremonese Giancarlo Tossani. Non solo per la presenza tutt’altro che accessoria del talento di Ralph Alessi, non solo perché Auand è etichetta che ha sostenuto fin dagli esordi il percorso del quartetto ma soprattutto perché le composizioni del leader sembrano aver trovato un’ideale sublimazione sonora e strutturale. L’essenzialità di base della scrittura libera sì lo spirito improvvisativo dei singoli, ma il loro intrecciarsi, il loro addensarsi in materia pulsante, crea architetture mobili di rara efficacia e dalle molteplici prospettive. Newswok è un viaggio del corpo e della mente che, all’interno di una rigorosità discreta, mai coercitiva, si apre ad un ventaglio di umori che sollecitano senza sosta la curiosità dell’ascoltatore. Vincenzo Roggero
È capitato che più d’uno scrivesse di Synapser (come per esempio Daniele Cecchini su Audiophile Sound) che “abbiamo di fronte un gruppo completamente italiano che però suona perfettamente in sintonia con la scena avanzata newyorkese”.
Senza dubbio un bel complimento ed ecco che così (a riprova?) ci presentiamo con un pezzo di grande valore di tale scena.È andata bene, come pesci nell’acqua, tutti quanti in sintonia e immediatamente a proprio agio.
Da sempre l’interazione musicale, tratteggiata da forme compositive che fungessero più da input che da strettoie, è la mia chiave musicale, cardine di una spontanea ma non ingenua volontà di comporre collettivamente e simultaneamente.
Il che poi volendo non è neppure una gran novità dato che circola fin dai tempi della vecchia New Orleans.
Ad ogni modo già da un po’ di tempo sentivo l’esigenza di allargare lo spettro della band, o della banda sonora se preferite, e parallelamente, allargando i partecipanti, la necessità di circoscrivere il materiale e organizzarlo in una forma compositiva decisamente più articolata e segmentata (gli amanti dello skipping sono quindi avvisati!).
Sempre comunque permettendo e anzi incoraggiando ogni sorta di interventi improvvisativi, teoricamente al limite dell’abuso, limitando quindi le indicazioni preventive su cosa suonare e come ognuno debba intervenire.
Per dirla con Tim Berne: “Part of my thing is to find people who are willing to take responsibility for what they improvise…”
Il che non è poco.
Grazie quindi ad Achille, Cristiano, Ralph, Tito e, non ultimo, Marco che mi sopporta e supporta già da un po’. Giancarlo Tossani Un’avvertenza: al termine dell’ultima track, Minimal Overload, le porte si chiudono ma la musica non è finita…
Track List
01 Newswok
02 Volubilis
03 Click to Play
04 White
05 Sleepery
06 Silence
07 Washing Fishes
08 Minimal Overload
Produced by Giancarlo Tossani
Executive Producer: Marco Valente
Recording: Il Pollaio Ronco Biellese (Bl) – Italy, May 12-13 and June 10, 2013
Engineer: Piergiorgio Miotto
Cover Photo: Matteo Gosi
ITA jazzitalia.net, Vincenzo Fugaldi (aug.2016)
Dopo «Beauty is a rare thing» e «Coherent Deformation», Auand pubblica il terzo cd del quartetto del pianista Giancarlo Tossani. Qui il gruppo ospita uno statunitense illustre, il trombettista Ralph Alessi.
In «Newswok» l’interplay fra i componenti mostra un ulteriore passo in avanti, denotando coesione piena e matura. Sin dal primo brano si coglie un fine equilibrio fra scrittura e improvvisazione, che la tromba di Alessi impreziosisce con il suo caratteristico timbro. La quadratura della ritmica è perfetta, grazie alla telepatica interazione fra i tamburi di Calcagnile e le corde di Mangialajo Rantzer, mentre il pianoforte del leader imprime la giusta direzione alle libere e aperte improvvisazioni, e Succi lavora di fino con le sue ance. Difficile esprimere una preferenza per uno o più brani, tutti articolati e coinvolgenti per un ascoltatore attento ed esigente, testimoni di un jazz quanto mai attuale e creativo. Tuttavia l’iniziale Newswok si distingue per la plasticità della ritmica e le volate intense del pianoforte, e White per la delicata introduzione pianistica punteggiata dai piatti della batteria. Ma in un cd tutto da ascoltare e riascoltare per coglierne a pieno la suggestione.
ITA Musica Jazz, Lorenza Cattadori (jun.2016)
Con un nome così intimamente legato all’idea di “connessione”, il quartetto Synapser persegue da una decina d’anni la propria idea estetica anche attraverso espedienti subliminali come le bellissime immagini legate ai tre album che ne definiscono il percorso creativo, grazie anche alla buona intesa con l’etichetta Auand. L’uomo a gambe in su nel 2004 per “Beauty Is A Rare Thing” (una vera e propria dichiarazione di intenti), le ombre di “Coherent Deformation” di due anni più tardi e infine l’abbandono, tra il lirico e lo scanzonato, delle figure sulla cover di questo “Newswok” (2015), diventano veri e propri topoi anche nelle composizioni di Giancarlo Tossani. Che infatti è un incedere non convenzionale, pieno di anfratti angolosi ricchi di fascino, cui ci si arrende divertiti e stremati dall’impeto comunicativo: dunque non è soltanto la “scena americana” ad apparire in questo complesso panorama sonoro.
Il gruppo è assai coeso e guai a chi lo tocca. Alla sezione ritmica, formata da Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e dal prisma di corpi sonori domato da Cristiano Calcagnile, fanno da equilibrio i fiati – sempre densi di carisma e opportunità – di Achille Succi, cui in “Newswok” corrisponde un dialogo fervido e stimolante da parte della tromba di Ralph Alessi (rimpiazzato a volte nei live italiani da Gabriele Mitelli, con la stessa perfetta idea ricercata vaghezza).
Già al primo ascolto (in cuffia, ad alto volume) il lavoro crea qualche sinapsi interessante, sin dall’attacco nel registro basso che caratterizza il primo pezzo e al quale fanno seguito i fiati: star fermi con la testa sembra impossibile. Quando poi ci siamo tolte le cuffie, abbiamo scoperto che anche a basso volume questa musica non perde un’oncia della sua intensità, e il fitto fraseggio tra i musicisti rivela anche una certa piacevole distonia. Per contro, in terza battuta, abbiamo sparato al massimo i bassi, finendo per chiudere gli occhi a accasciarci dalla concentrazione, proprio come gli strani personaggi in copertina!
in questo senso assai rivelatori sono brani come Click To Play e Silence, fino ad arrivare al tema aperto di Minimal Overload o alla ghost track cui si accenna in questo numero durante l’intervista di pagina 37 (leggi qui http://www.giancarlotossani.com/intervista-e-recensione-su-musica-jazz-giugno-2016/).
Un ascolto coinvolgente ed evocativo: naturalmente siamo curiosissime di conoscere le prossime mosse della band.
ITA Musica Jazz, Enzo Boddi (nov.2015) Auand ha la vista lunga
Il portoghese Joao Lencastre fa prevalere le doti di compositore su quelle di batterista, qui affiancato da un giovane maestro del contrabbasso come Thomas Morgan. Completano il gruppo Phil Grenadier (tr.), David Binney (alto), Jacob Sacks (p.) e André Matos (chit.). Si apprezzano la coralità e la disciplina del collettivi e certe asciutte melodie.
Sulla scia di “Playing In Traffic” (Auand, 2009), Steve Swallow, Ohad Talmor e Adam Nussbaum riannodano i fili di una trama fatta di finezze timbriche e melodie lucenti, quesi tutte firmate da Swallow e Talmor, il quale rievoca al tenore certi tratti distintivi di Warne Marsh e Jimmy Giuffre. Tale poetica impreziosisce le interpretazioni di Ups And Downs di Carla Bley, Carolina Moon e You Go To My Head. Giancarlo Tossani si conferma compositore di vaglia, incline a sconfinare con rigore in territori atonali. Il compito è brillantemente risolto grazie alla fertile dialettica di Ralph Alessi (tr.) e Achille Succi (alto, cl.) e alla sintonia tra Tito Mangialajo Rantzer (cb.) e Cristiano Calcagnile (batt.).
Forte di alcune originali idee compositive, Paolo Bacchetta appartiene a quei chitarristi capaci di conciliare le istanze contemporanee (nel linguaggio e nella gamma timbrica) con la lezione dei maestri, nell’economia del fraseggio. Qui è coadiuvato da un superbo Piero Bittolo Bon (alto, cl.), Giacomo Papetti (b. el.) e Nelide Bandello (batt.). Forefront è animato dalle composizioni di Jack D’Amico (p., p. el.), caratterizzate da numerose reminiscenze ree. Spiccano la disinibita ritmica – Umberto Lepore (cb., b. el.) e Marco Castaldo (batt.) – e l’approccio corrosivo di Antonio Raia (ten., alto).
ITA All About Jazz Italia, Vincenzo Roggero (oct.2015)
Terzo episodio di un’avventurosa ricerca musicale chiamata Synapser, Newswok ha tutte le carte in regola per timbrare a fuoco con il marchio della qualità più sofisticata il quartetto del pianista e compositore Giancarlo Tossani Synapser + Alessi. Non solo per la presenza tutt’altro che accessoria del talento di Ralph Alessi, non solo perché Auand è etichetta che ha sostenuto fin dagli esordi il percorso del quartetto ma soprattutto perché le composizioni del leader sembrano aver trovato un ideale sublimazione sonora e strutturale.
L’essenzialità di base della scrittura libera sì lo spirito improvvisativo dei singoli, ma il loro intrecciarsi, l’addensarsi in materia pulsante, crea architetture mobili di rara efficacia e dalle molteplici prospettive. Come avviene nell’iniziale title track, dal groove coinvolgente e inesorabile sul quale, e attorno al quale, prendono forma una serie di intrecci, di connessioni, di invenzioni che spostano continuamente le coordinate e gli orizzonti del brano. Ma questo è solo un antipasto del ricco menù proposto da Newswok (a proposito splendida la copertina e intrigante il titolo dell’album) perché ogni brano è uno scrigno colmo di tesori.
Non importa se l’idea base ha i contorni di una sequenza ipnotica, di una frase accidentata, di una improvvisazione collettiva, di una scarna melodia. Ci pensa Synapser a cambiarne i connotati, ad aprire finestre su moods differenti, ad articolare il discorso in maniera imprevedibile. Senza cambi di registro clamorosi o trovate pirotecniche, ma con la forza delle idee, con la capacità di reagire alle sollecitazioni reciproche e conservare intensità narrativa anche nei momenti più rarefatti od ostici.
Newswok si rivela così un viaggio del corpo e della mente dalla rigorosità discreta e mai coercitiva, aperta ad un ventaglio di umori che sollecitano senza sosta la curiosità dell’ascoltatore. Uno degli ascolti più affascinanti dell’anno corrente.
USA All About Jazz, Dave Wayne (may.2015)
Wonders never cease. When Newswok first arrived in the mail, my first question was not “What the hell does ‘Newswok’ mean?” It was “Who is Giancarlo Tossani, and why is Ralph Alessi playing with him?” I was also alarmed that I had never heard of the record label, Auand Records, before. This despite the fact that the Auand catalog lists approximately 50 releases featuring dates led (or co- led) by the likes of Bill Frisell, Cuong Vu, David Binney, Steve Swallow, and Bobby Previte, plus a gaggle led by top Italian jazz artists. How could I have been so remiss?
Most jazz fans are familiar with Alessi, whose recent album Baida (ECM Records, 2013) made a bunch of “Best Of…” lists. He’s also been a featured sideman with Steve Coleman, Don Byron and Ravi Coltrane. Musically, Ralph Alessi is about as heavy as they come. The credits on Newswok reveal that Tossani keeps fairly heavy company, himself. Saxophonist Achille Succi is a member of Fabio Delvo RASTPLATZ’s excellent quartet, and drummer Christiano Calcagnile (who also plays something called the “drumtableguitar” on this album) is one of Europe’s most in-demand percussionists.
As it turns out, Tossani is a really inventive and virtuosic pianist. His rather coy on-line bio suggests that he majored in philosophy in college, and studied jazz piano privately with Franco DAndrea, Mal Waldron, and John Taylor. Apparently, Tossani chose to concentrate on teaching and did not pursue a career in music performance at all until later in life. His first recordings, also with Synapser (very cool group name, by the way), appeared a decade or so ago, and Newswok is his fourth as a leader. As a pianist, he doesn’t seem to take any stylistic cues from the usual suspects; Herbie Hancock, McCoy Tyner or Chick Corea. If anything, he’s an iconoclast and free-thinker in the mold of Don Friedman, Ran Blake and Paul Bley, though he really doesn’t sound like them either. His compositions bring together all sorts of unlikely sounds and influences, yet they are emphatically part of the jazz continuum.
The music on Newswok is complex and multi-sectioned without being too episodic. The contrasting sections of his pieces flow logically and seamlessly. As wild as some of his writing is, Tossani leaves a lot of room for solos which, in the hands of Succi, Alessi, and Tossani himself, are consistently great. A lot of demands are placed on the rhythm section, in terms of color, pacing and tempo. Calcagnile, who can swing like a madman or create clouds of sound tension like a Bertoia sculpture in a windstorm, and bassist Tito Mangialajo Rantzer handle all of it with relaxed, off-the-cuff ease. There’s also quite a bit of collective improv scattered throughout, with some truly unexpected sounds coming from Calcagnile’s drumtableguitar.
I still haven’t figured out what Newswok means, or if it has any significance at all. It may well be a nonsense word. Giancarlo Tossani’s music, by sharp contrast, seems to be anything but nonsense. Newswok is a whip-smart album that consistently deals with the unexpected in a soulful, sophisticated and playful manner.
4,5 starsITA lisolachenoncera.it, Alberto Bazzurro (nov. 2014)
(…) Il CD più significativo prodotto da Marco Valente per l’etichetta pugliese [Auand] è tuttavia Newswok del pianista Giancarlo Tossani, che vi dirige il proprio quartetto, Synapser, nello specifico rinforzato dalla tromba di Ralph Alessi. Vi trova posto una musica ricca di dinamiche intestine in cui la scrittura si sposa ottimamente con la vena ispirativa dei solisti. Un lavoro di grande maturità.USA wonderingsound.com, Dave Sumner (oct.2014)
An intriguing release from pianist Tossani. It gives the sense of being fully improvised, but the precision of the changes and the emergent patterns suggest something mapped out previously. Angular melodies with sudden starts and stops, this is where post-bop and avant-garde create a genre DMZ. Joining Tossani are trumpeter Ralph Alessi, multi-reedist Achille Succi, bassist Tito Mangialajo Rantzer and drummer/percussionist Cristiano Calcagnile. A superb recording. Challenging, sure, but it doesn’t come on strong when it engages the ear.ITA Suoni e Strumenti, Roberto Valentino (sep.2014)
Sarebbe interessante sottoporre qualcuno a un blindfold test (ovvero l’ascolto a occhi bendati) per vedere se indovina a quale sponda dell’oceano appartengono i musicisti protagonisti di questo CD. Il jazz, si sa, è una lingua che tutti o quasi possono parlare, con inflessioni diverse: il pianista cremonese Giancarlo Tossani e i componenti dei suoi Synapser (Achille Succi al sax alto e ai clarinetti, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e Cristiano Calcagnile a batteria, percussioni e drumtableguitar) parlano assai bene il linguaggio della contemporaneità e li si potrebbe pensare ambientati nella downtown scene newyorkese piuttosto che nella pianura lombarda, dove in effetti risiedono tutti.
In verità, un po’ di America in Newswok (Auand) c’è ed è degnamente rappresentata da uno dei migliori trombettisti oggi in circolazione, Ralph Alessi, perfettamente integrato in un collaudato organismo collettivo che ha già alle spalle due album, Beauty Is A Rare Thing (2004) e Coherent Deformation (2006). E in questa terza opera del gruppo si coglie ancor meglio un disegno espressivo rigoroso, scevro da compromessi stilistici, la cui linfa vitale sta nell’intreccio dinamico e dialogico fra composizione e improvvisazione.
Il leader è autore che non lascia nulla al caso, ma che nel contempo concede ampi spazi di manovra ai suoi partner, col risultato che tutti partecipano attivamente a una musica densa, apparentemente granitica ma in realtà in continuo, avventuroso movimento.ITA Jazzit, Luciano Vanni (jan.2015)
Giancarlo Tossani è un pianista e compositore cremonese che da oltre un decennio mette le sue idee musicali e la sua arte compositiva a servizio di un ensemble: Synapser. “Newswok” è la terza produzione discografica di Synapser (dopo “Beauty Is A Rare Thing” del 2004 e “Coherent Deformation” del 2006, entrambi prodotti da Auand), ma la novità di quest’ultimo lavoro in studio è che l’assetto base del quartetto – a fianco di Tossani agiscono Achille Succi al clarinetto e sax, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e Cristiano Calcagnile alla batteria – si allarga, ospitando il trombettista Ralph Alessi, di certo uno dei più talentuosi e innovatori del suo strumento. Come già è capitato di ascoltare in passato, Tossani dà vita a una musica elaborata e sofisticata, rigorosa, geometrica (Newswok) ma al tempo stesso astratta e cubista, immateriale, fortemente improvvisata (Click To Play). L’azione di Ralph Alessi rende la musica di Synapser più intensa e per certi versi aggressiva, e porta il leader a scrivere partiture con una logica orchestrale.ITA Jazz Convention, Fabio Ciminiera (oct.2014)
Newswok è la nuova prova di Synapser, il progetto di Giancarlo Tossani attivo ormai da oltre dieci anni e arrivato alla terza prova per Auand dopo le precedenti Coherent Deformation e Beauty is a Rare Thing. Al quartetto – formato da Achille Succi, Tito Mangialajo Rantzer, Cristiano Calcagnile e dal pianista – si aggiunge Ralph Alessi: si completa così, in qualche modo, un legame tra contemporaneità e sguardo alle tradizioni. La dimensione canonica del quintetto si unisce alla ricerca timbrica e alla “lezione” della modernità newyorchese. Un nesso sempre presente nella musica proposta da Tossani, capace di sganciarsi da griglie predeterminate per cercare le reazioni tra gli elementi presi in considerazione: reazioni senza rete, anche aspre, spigolose e stridenti.
Tossani non cerca compromessi nelle sue composizioni. E, anche laddove percorre sentieri già battuti, esprime sempre un punto di vista personale. Il filo logico alla base di Newswok è, però, la convergenza. Nelle sue composizioni, il pianista richiama le attitudini personali dei suoi compagni, la contrapposizione di tematiche e sonorità, l’alternarsi di destrutturazione e forma, l’utilizzo di situazioni ritmiche differenti. Il tutto utilizzato secondo una regia molto articolata riguardo direzione “orchestrale” della formazione. Melodie e momenti condotti secondo una gestione tradizionale nascono da sezioni totalmente libere o si frantumano in esse. L’improvvisazione è spesso resa collettiva e si misura con il disegno variabile delle forme, predisposto dal leader. Cellule ritmiche e griglie armoniche si intrecciano con momenti liberi secondo dinamiche sempre controllate.
Le ricerche personali dei cinque musicisti portano ingredienti differenti alla ricerca del disco. Il confronto con un protagonista della nuova scena newyorchese diventa uno stimolo per calibrare le proprie intenzioni. Tossani e i suoi musicisti conoscono bene il proprio background: la musica di Synapser accoglie elementi europei e statunitensi, colti e moderni, improvvisazione e costruzione stabilita a priori, raffinate aperture melodiche e sketch ritmici aggressivi. La convergenza realizzata nelle otto tracce non significa necessariamente pacificazione: il risultato è una matura visione di insieme di elementi anche contrastanti, gestiti con equilibrio.
Newswok non propone una musica facile, non è il suo obiettivo. Come suggerisce il nome della formazione, Tossani è maggiormente attratto dalla ricerca di connessioni e di elementi da far reagire tra loro per trovare soluzioni possibili o plausibili della nostra modernità.USA Bird is the Worm, Dave Sumner (oct.2014)
A curious release from Giancarlo Tossani Synapser. Everything about Newswok sounds freely improvised, except that patterns are revealed that imply something meticulously planned. Tempos are like stop motion animation, a perpetual stream of strange poses resulting in an engaging fluidity. But it’s not all just a flurry of activity and an hyperactive persona.
“Click to Play” slips in moody passages of an alluring dissonance between the bouts of quick-footed exuberance that defines the album. Intriguingly, it has an outro that is about as melodically adroit as anything on the recording.
“White” takes a momentary introspective turn via piano, and though the song’s motion is more deliberate than its counterparts, it still moves with a boozy unpredictability that keeps it well in line with all that has come before. It crests with a shriek and a crash, and it’s bass and drums that spur it on to those heights and is there to catch the song when it falls back down to earth.
“Sleepery” is freer than most other tracks, yet is so dense as to counteract its high energy with a lumbering presence.
The brief “Silence” is the fluttering wings of percussion and the tandem of clarinet and trumpet dishing out melodic fragments.
“Minimal Overload” slips between passages in a free fall and those out from of a lullaby. Bass clarinet works the angles at both extremes. Fittingly, it’s how Tossani brings the album to a close.
Challenging music? Yes, certainly. But it’s got a fighting spirit that is both entertaining and fun, and those qualities tend to make challenging music an easier listen.
‘Opus Soup’:jazz, elettronica e pop nel nuovo progetto di Tossani e Girardi
di Luca Muchetti
CREMONA — Opus Soup: due termini, l’uno anagramma dell’altro. Ma anche la mappa concettuale di una nuova possibile geografia sonora. Lunedì sera alle 21.30 il Fico di via Guido Grandi ospita la prima esibizione dell’inedito progetto a cavallo tra jazz, elettronica e pop di Giancarlo Tossani, alle tastiere e Fender Rhodes, Achille Succi al sax e clarinetto, Paolo Botti alla viola, banjo e Dobro, Matteo Gosi dei Beaucoup Fish alla voce e Gilberto Girardi degli Useless Wooden Toys a curare la parte elettronica. Un progetto che sfida stili e lontananze, un disegno nato dall’incontro di Tossani e Girardi prima in veste di docente di pianoforte l’uno e di allievo l’altro, poi di artisti impegnati su fronti lontani ma dalle tangenze possibili: jazzman sperimentale Tossani con Synapser, beatmaker di successo Girardi, ormai meglio noto come dj G-Love. «L’idea è nata in occasione dell’African Battle di Caorso, quando di Double S e G-Love incontrarono due musicisti africani, i percussionisti Taté Nsongan dei Mau-Mau e Aguibou Diabate per uno spettacolo insieme a Igor Sciavolino – racconta Tossani -. E’ il tentativo di proporre musica come arte combinatoria: Gilberto ha lavorato con l’elettronica su alcuni miei temi, mentre Matteo ha dato melodia e testi ad alcune armonie che avevo composto. Ne sono nati una decina di brani che non sono canzoni e nemmeno degli standard».
E’ insomma quel ‘jazz’ aperto, indefinibile e in continua ricerca che mantiene, come lo stesso pianista ci conferma, «l’improvvisazione dal vivo» come una delle proprie cifre più caratterizzanti.
Al nucleo, tutto cremonese, del progetto si sono poi aggiunti due musicisti di prim’ordine come Succi (giá con Uri Caine e Vinicio Capossela) e Botti:
«Sì, Succi, semplicemente perché non posso fare a meno di lui in qualsiasi progetto io abbracci – continua Tossani- e poi Botti, che già avevo intenzione di coinvolgere in Synapser, anche se la cosa poi non ha più avuto seguito».
La sfida? Tenere insieme dei retroterra musicali cosi lontani fra loro (‘soup‘ si riferisce appunto alla somma di sapori della portata) in un’ottica di arte combinatoria più che di composizione originale. Da musica composta ‘facendo pezzi’ a musica creata ‘prendendo’ pezzi qua e là e cucendo il tutto in un unico e inedito testo. Una prova, un’esperienza che dovrebbe essere replicata il 18 dicembre all’Osteria del Quinto di Picenengo e che, almeno per il momento, ha il sapore del work in progress. «Difficile immaginare questo progetto in termini di un album – confida Tossani -, andrebbe completamente ripensato».
Nel frattempo il pianista è stato reclutato dalla Auand per festeggiare il decimo compleanno dalla prestigiosa etichetta e agenzia di booking. Il musicista cremonese fará parte di una super-band composta da Cuong Vu, David Binney, Francesco Bearzatti, Ohad Talmor, Julián Arguelles, Gianluca Petrella, Roberto Cecchetto, Steve Swallow e Dan Weiss.
intervista a Cronaca 3 aprile 2011 _Gianluca Barbieri
Venerdì sera presso l’auditorium del Centro Culturale Agorà di Castelverde si è conclusa la rassegna MusicAgorà 2011, che ha visto esibirsi in successione, nell’arco di un mese, il duo jazz Vijay Iyer-Rudresh Mahanthappa, il gruppo Doze Cordas e la strepitosa formazione americana Kneebody. La conclusione, come giusto, è stata affidata a Opus Soup, il nuovo ensemble di Giancarlo Tossani, uno degli organizzatori della rassegna, che dopo aver conquistato il titolo di migliore talento Jazz dalla rivista Musica Jazz nel 2007, ora si è spostato in un contesto musicale differente, o forse complementare, che ha il suo punto di forza in un uso sostanzioso dell’elettronica intrecciata con sonorità e rimandi di matrice jazz.
Ospite della serata, Mauro Ottolini alla tuba e al trombone, che ha dato un apporto più che significativo al quintetto, con una fantasia e una genialità straordinarie.
In scaletta i pezzi del demo intitolato semplicemente Opus Soup, distinti in Songs e No Songs sulla base della presenza o dell’assenza della voce del cantante.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Giancarlo Tossani.
D. Iniziamo dalla denominazione del gruppo: un nome doppio anagrammato e un richiamo visivo ad un’immagine divenuta famosa grazie a Andy Warhol.
R. Il nome è anagrammatico per sottolineare la stretta fusione degli elementi che compongono questo progetto. Opus è termine latino (lavoro, opera) con cui voglio alludere alla nostra cultura, soup è, di converso, parola inglese con cui sottintendere tutta la cultura musicale di matrice anglosassone. Opus poi è anche specificatamente un termine musicale (seguito da un numero indica una composizione di un autore secondo una catalogazione ufficiale); soup nel suo significato letterale di zuppa è una pietanza di vari ingredienti che formano un tutt’uno, come un tutt’uno vogliono essere i vari ingredienti di Opus Soup, un’opera musicale che sia miscela di jazz, pop- rock, elettronica, in una formula che speriamo risulti assolutamente originale. Ovviamente anche il riferimento visivo a A.Warhol allude a una cultura della contemporaneità in cui diversissimi elementi, alti e bassi, si accostano.
D. Impegno e ironia, ricerca sul linguaggio musicale e gioco “meta” di linguaggio sul linguaggio… Ho visto bene?
R. Sì hai visto bene, cerchiamo una leggerezza che però deriva da una profondità e da una riflessione non ingenua.
D. Il vostro concerto, a mio parere, è stato di grandissimo livello. Ho notato la tua solita creatività colta e originale, in un contesto musicale in cui la novità è difficile da perseguire. E anche il pubblico ha apprezzato con entusiasmo, nonostante si trattasse di uno spettacolo non per tutti, dotato di una componente innovativa e sperimentale che per tanti avrebbe potuto risultare indigesta. Come te lo spieghi?
R. Cerchiamo col pubblico un dialogo che, pur senza intenti compiacenti, possa essere differente a seconda dell’interlocutore. E questo è reso possibile dall’ampio e variegato arco espressivo dei componenti della band, dalla dance fino al jazz radicale. Questione di feedback e ricerca di sintonie insomma.
D.Un’ultima domanda. Quella di Opus Soup è un’esperienza destinata a proseguire e a dare ulteriori frutti, oppure è una parentesi oltre la quale riprenderai a percorrere alla tua maniera, con il tuo stile, le strade del jazz?
R. Il jazz è sempre la componente fondamentale della mia musica ma considero jazz un termine dalle più ampie possibilità e declinazioni espressive. Vedi tu che conclusioni trarne!
Gli indiepatici_2011-05-19- Enrico Enver Veronese-estratto-Opus Soup
*ITA Audiophile Sound, Daniele Cecchini (sep.2008)
*ITA Jazz Magazine, Enzo Pavoni (jan.2007)
*ITA Evolution-music, (feb. 2007)
*ITA Soudcontest.com, Pietro Mazzone (oct 2008)
*ITA Altri Suoni, Olindo Fortino (maj 2007)
*USA All About Jazz, Budd Kopman (maj 2007)
*ITA Jazz Convention, Diego D’Angelo (mar. 2007)
*ITA Jazzitalia, Marco De Masi (jan. 2007)
*ITA Musica Jazz, Luca Conti (feb. 2007)
*ITA Musica Jazz, TOP JAZZ 2006 (jan. 2007)
*ITA La Stampa Web, Gianmichele Taormina(dec. 2006)
*FRA Abeillemusique.com, (dec. 2006)
*ITA Jazzit, Marco Delle Fave (nov. 2006)
*ITA All About Jazz, Angelo Leonardi (oct. 2006)
——————————————–
ITA Audiophile Sound, Daniele Cecchini (sep.2008)
Nella musica di Coherent Deformation appaiono fugaci ma continui richiami a una tradizione jazzistica preesistente, che nella prima traccia (Translated Room) è il mainstream e altrove il funky. Tutto passa comunque attraverso il filtro del flusso di coscienza pianistico di Giancarlo Tossani, talvolta in preda al demone di Cecil Taylor, mentre anche la ritmica abbandona spesso la pulsazione nota in favore di vampate free. Questa volta abbiamo di fronte un gruppo completamente italiano, che però suona perfettamente in sintonia con la scena avanzata newyorkese, senza troppi europeismi di mezzo. Oltre al leader pianista (ma qui anche agli effetti digitali), i Synapser sono Achille Succi al sax alto e i clarinetti, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso, Cristiano Calcagnile alla batteria. La scrittura musicale di Tossani (tutti i brani tranne uno sono suoi) si appoggia su sostegni ritmici in cui il funky o lo swing sono così friabili da dissolversi in un contesto astratto e ultramoderno, mentre le traiettorie tematiche sono rese necessariamente oblique dai procedimenti armonici, che non conoscono il normale percorso dei changes verso la risoluzione della tensione. Tra i brani, FlushLush è un meccanismo ritmico ossessivo che pare la versione audio di un incubo di Goya; Sounds for Swimming è una onirica gabbia elettronica che spinge i quattro musicisti a muoversi alla ricerca di una via di fuga; l’aspro e inquietante The Fog è il tema dell’omonimo film di John Carpenter, qui lasciato alle mani dei soli Tossani e Succi; in Musicascope la ritmica è come una tela di ragno per le arrampicate del sax. Registrazione al passo coi tempi: i volumi molto pronunciati spingono in avanti l’immagine del gruppo. Più che di profondità scenica bisogna qui parlare di suono in aggetto. La scena risulta poi decisamente riempita di fenomeni sonori, senza il minimo spazio vuoto all’orizzonte. La dinamica ricorre di rado alle mezze tinte, che comunque la qualità della registrazione permetterebbe. I microcontrasti sono curati in modo tale che ogni strumento riesce a stagliarsi nitidamente rispetto all’insieme, anche se il dettaglio in certi vortici di suono tende a offuscarsi, specialmente nel registro medio-grave. Sembra che qui si stia cercando un connubio tra l’acusticità del jazz e il suono personalizzato a piacimento del rock: da qui la compressione dei tamburi e il pulviscolo di effetti elettronici. La cosa sorprendente è che in questa ottica i parametri non vanno valutati singolarmente ma nel loro risultato complessivo, che è ben superiore: il sound è infatti architettato ad hoc per questa musica, come un vestito di sartoria, ma di taglio decisamente poco classico.
ITA Jazz Magazine, Enzo Pavoni (jan.2007)
Le aspettative positive fatte intuire dal precedente Beauty Is A Rare Thing superano le più rosee previsioni con la seconda prova su Auand del pianista/tastierista/compositore Giancarlo Tossani. In Coherent Deformation l’artista è circondato dal contrabbassista Tito Mangialajo Rantzer, dal batterista Cristiano Calcagnile e dal sempre più maturo e sorprendente Achille Succi. Incredibile, poi, come gli ultimi due sappiano trovarsi ogni volta nelle “situazioni creative” più interessanti, affiancando i migliori jazzisti nazionali. Il quartetto è benedetto dal raro dono del perfetto affiatamento, un merito che, almeno al cinquanta per cento, è da attribuire a Tossani, alla sua maniera di concepire uno small group, all’interno del quale applica un’interessante forma di “autorevolezza democratica”, invogliando i partner a rispettare senza traumi le parti d’assieme, ma concedendo loro, nel contempo, anche gli spazi per esprimersi in libertà. A tal proposito, basta dare ascolto a quanto combina Succi nell’inquieta e trasversale “Hip Hop Zero Up And Down”, mentre al di sotto vibrano/incalzano i ritmi spezzati di Calcagnile, le acide tastiere del leader e la granitica cavata di Rantzer.
ITA Evolution-music, (feb. 2007)
“Coherent Deformation”, capitolo secondo a nome Tossani per casa Auand, conferma le doti di compositore del pianista cremonese: scrittura essenziale, temi densi e un linguaggio improvvisativo libero e pungente consentono (come nel precedente “Beauty is a Rare Thing”) di dar luce all’amalgama collettivo e al simbiotico interplay del Synapser, cornice che valorizza appieno le qualità solistiche dei quattro. Già “Translated Rooms” mostra le peculiarità dell’album: la frontline Succi/Tossani libera le note dei propri strumenti sui tappeti ritmici incalzanti e intricati di Mangialajo Rantzer e Calcagnile e in “FlushLush” pensieri ovattati scorrono tra riff ripetuti, unisono e percussioni varie. La leggerezza di “Sounds for Swimming” (dove bit acustici ed elettronici si fondono a melodie sottili) e un intermezzo largo (“The Fog”) introducono brani (“Hip Hop Zero Up And Down” e “Musicascope”) dove all’elemento percussivo tipico dell’intero lavoro si sommano improvvisazioni e spunti elettr(on)ici più marcati. Una continua esplorazione strumentale, per un disco sicuramente non semplice, che necessita di un ascolto dedicato, ripagato però da grande soddisfazione.
ITA Soudcontest.com. Pietro Mazzone (oct 2008)
estratto da: AUAND SHORT STORY
…la musica degli album Auand – in fondo non stiamo che chiarendo una questione etica – si caratterizza per la piu’ completa assenza di coloranti e conservanti. E’ musica naturale, magra, bioetica, poco spettacolare, non muscolare.
E neanche mai solare e rassicurante. Piuttosto invece lunare e assorta, intimamente inquieta, dai colori cangianti e indefinibili, dalle strutture fragili e sfuggenti, dagli umori corruscati e notturni, come in Beauty IsA Rare Thing e in Coherent Deformation, il sesto e il dodicesimo dei cd pubblicati da Auand (2004 e 2006), firmati dal quartetto Synapser di Giancarlo Tossani, un pianista che proprio grazie ad Auand si sta imponendo al pubblico, con Achille Succi al sax contralto e al clarinetto basso, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e Cristiano Calcagnile alla batteria.
Una musica allarmata, arrembante, agra, psichicamente insurrezionale, perfettamente ormolodica, se qualcuno ha mai capito cosa siano veramente le teorie colemaniane; e, a proposito del geniale sassofonista texano – e andando ad acciuffare un’altra delle grandi questioni attorno a cui ruota la faccenda Auand – una musica a bassissima influenza coltraniana e che segue invece i sentieri esoterici e impervi della poetica ornettiana, dunque poco tenoristica e invece guizzante e nasale come il suono del contralto.
ITA Altri Suoni. Olindo Fortino (maj 2007)
Auand è ormai diventata trampolino di lancio e ricettacolo di grandi talenti. Qui è la conferma di quello che ci stupì un paio d’anni fa con l’esordio di Beauty Is A Rare Thing, il pianista cremonese Giancarlo Tossani, ora più che mai generoso nell’offrire ad un pubblico allenato con ascolti profondi ed “impegnativi” pane per i suoi denti. Coherent Deformation è infatti un disco che starebbe assai bene nel catalogo di etichette quali Leo oppure Emanem, vetrina e passaporto per l’estero di un quartetto già rodato nell’evitare tutti quei vicoli ciechi che solitamente si presentano in esplorazioni sonore dalla trama fitta e accidentata. Autore di tutte le composizioni (eccetto “The Fog” di John Carpenter, trasfigurata a mo’ d’interludio cameristico) Tossani ne definisce i contorni con un pianismo libero (free) dinamico e ricercato perchè ritmicamente irreprensibile, preciso e fine. Ascoltatelo in “Hip Hop Zero Up And Down” e “Beauty So Difficult”, come per dire, una mano nelle alchimie zawinuliane e un’altra che sfiora le nuvole tayloriane. Altrove è tutto un gioco di rifrazioni tematiche e scale asimettriche, timbri acidi e distesi, drammatici e colloquiali, con il contralto e il clarinetto di Achille Succi potentemente icastici e il contrabbasso di Tito Mangialajo Rantzer che avvolge tra il felpato e il febbrile la robustezza percussiva di Cristiano Calcagnile, a tratti creativamente inarrestabile. L’insieme di tale tasso tecnico trasluce tanto in “Translated Rooms” e “Sounds For Swimming” quanto in “Musicascope” e “Double-Face”, cornici sonore in cui palpita un gioioso eppur serrato pragmatismo improvvisativo, che rimbalza tra soluzioni acustiche, elettriche ed elettroniche, sentieri irregolari che s’incurvano spontanei verso l’effetto sorpresa. Qualcuno ha parlato di Coherent Deformation come di un disco non facile, questione di (false) impressioni, in verità vi dico che si tratta di un’opera sottile e articolata, ma talmente ricca di tensione e propulsione che sarà per voi un piacere accorgervi d’essere arrivati all’ultima traccia senza neanche un filo di noia.
USA All About Jazz, Budd Kopman (maj 2007)
from:
Achille Succi: Lyrical and Free
Published: May 6, 2007
By Budd Kopman
www.allaboutjazz.com
(…)
Synapser/Giancarlo Tossani
Coherent Deformations
Succi is the front line and main soloist in this high energy but reasonably accessible modern jazz. The dynamic music has clear, developed motifs and driving rhythms that will get you moving. Synapser, which is led by composer/pianist Giancarlo Tossani, is a very tight group and the interplay between not only Succi and Tossani but also the rhythm section of bassist Tito Rantzer and drummer Cristiano Calcagnile, is a delight to hear unfold.
Stylistically quite varied, Tossani uses some electronics and both Succi and Rantzer sometimes make sounds rather than play notes. However, each piece has a rigorous developmental logic that is easy to follow.
The center third of the album, “Sounds For Swimming,” “The Fog” and “Hip Hop Zero Up And Down” provides a good example of the group’s flexibility. The first piece is an extended collage, held together as always by motifs, of vaguely water-related music with very exciting rhythmic underpinnings. “The Fog” (by John Carpenter) is a two-minutes long, beautiful and atmospheric piece that acts as a cleanser for the ears. Despite the title, “Hip Hop” does not descend to that level of simplicity, but rather builds to a much more complicated groove with Succi flying above it all.
Put this on when you need a pick-me-up. Terrific.
ITA Jazz Convention, Diego D’Angelo (mar. 2007)
Dopo neanche due anni dall’uscita dell’album d’esordio, Beauty is a rare thing, Giancarlo Tossani e il suo quartetto Synapser tornano alla carica con un altro disco, che non delude in nessun modo le aspettative. Un’evoluzione, per quanto in così poco tempo, c’è stata: abbandonando quel certo minimalismo che contraddistingue il primo lavoro, in questa seconda tappa su disco le armonie si fanno più complesse, ancora più spazio viene dato al free, e non mancano momenti – come in Translated Rooms – in cui le due cose si sommano a temi melodicamente ispirati, che in qualche modo possono ricordare qualche lavoro di Ornette Coleman, specialmente grazie a un incredibile Achille Succi al sassofono. In FlushLush, l’elettronica abbandonata per un attimo nel brano precedente torna predominante: come al suo solito Giancarlo Tossani fa un uso sapiente di piccole cellule di musica elettronica, che rendono la musica ancora più scorrevole e incalzante, pur rimanendo nell’ambito di una ricerca armonica e ritmica serrata. In Beauty So Difficult sembra addirittura che sia dia una strizzatina d’occhio a un sorta di post-bop delirante: il luogo ideale per mettere in risalto le qualità di Tito Mangialajo Rantzer, che sorregge il brano con inventiva e quasi un po’ di ironia. Unico brano non a firma Tossani nell’album, The Fog, costruisce un’atmosfera da film noir, rarefatta, su un ritmo quasi assente, o meglio solo suggerito. Del resto, non per nulla il brano è a firma John Carpenter.
Il pianista cremonese dimostra ancora una volta di aver centrato la formula del suo Synapser: una grande voglia di trovare soluzioni musicali stimolanti, combinata a una grande serietà – ma con la capacità di fare un po’ di autoironia, che non guasta mai -, non poteva che fruttare un’ottimo disco, più che degno prosecutore di un discorso musicale e personale iniziato due anni fa. E l’esperienza accumulata in questo tempo grazie alla gran quantità di concerti in giro per l’Italia ha sicuramente aumentato la coesione interna di un gruppo già affiatatissimo grazie alla condivisione di un ideale comune: quello di portare “nuovi significati, permettendo agli ascoltatori di fare un decisivo passo in avanti”, parafrasando Merleau-Ponty.
ITA Jazzitalia, Marco De Masi (jan. 2007)
Se in Italia c’è un musicista che ha assorbito la lezione di musicisti come Ornette Coleman ed Eric Dolphy, quello è Achille Succi: straordinario sassofonista (e clarinettista) dell’ottima formazione di Giancarlo Tossani, giunta al suo secondo disco per la Auand.
C’è da dire subito che “Coherent deformation” non contiene musica di facile fruizione: deformando gli ingredienti della tradizione afroamericana e quelli “colti” europei in un linguaggio coerente, pieno di energia, ma allo stesso tempo lontano dai consolidati e largamente apprezzati paradigmi del mainstream. E questo per l’arte è senza dubbio un bene. Forse però dal punto di vista della popolarità…
Le ambiguità armoniche di Hip hop zero up and down insieme all’imprevedibilità delle sue voci solistiche; il tema incisivo di Translated rooms seguito dall’improvvisazione free del sax alto sostenuta da una sezione ritmica esaltante; l’intelligenza armonica del leader Giancarlo Tossani non sono che un’incompleta rappresentazione per parole di un disco che andrebbe affrontato composizione per composizione per essere compreso veramente nel profondo.
Limitiamoci quindi a un’analisi più superficiale: la tensione e la vivacità che il quartetto riesce ad imporre ad ogni passaggio della propria musica, lasciandosi guidare non dalle strutture ma dal coinvolgimento emotivo nella creazione-improvvisazione di ogni brano, restituisce ai brani un sapore colemaniano e allo stesso tempo attuale. I temi sono spigolosi, pungenti; esposti dalle ance oppure dal piano, fanno da preludio alle improvvisazioni sostenute da complessi intrecci ritmici dove risalta la fortissima compattezza dell’organico che, tra gli scenari rarefatti di The fog e quelli più densi di Beauty So Difficult (risposta a Beauty is a rare thing, capolavoro di Ornette Coleman e titolo del primo disco dei Synapser) ci guiderà nella misteriosa esplorazione della propria musica. Ottimo.
ITA Musica Jazz, Luca Conti (feb. 2007)
Onore alla Auand per aver concesso una seconda prova discografica al cremonese Tossani e al suo quartetto Synapser, che replica con risultati ancor più interessanti il già brillante esordio del 2005 di «Beauty I sA Rare Thing». A differenza del lavoro precedente, in questo caso è Tossani che si fa carico dell’intero impegno compositivo, escluso il breve frammento di John Carpenter, The Fog, tratto dalla colonna sonora dell’omonimo film e che qui funge, per così dire, da elemento divisorio delle due parti del disco. Si tratta di un album che poco concede al facile ascolto, va detto subito, fornito com’è di temi spigolosi e di ardua esecuzione, oltre che di un interplay molto intenso e serrato. L’impressione iniziale è quella di un progetto che suscita più ammirazione – per le brillanti doti strumentali sfoggiate dal quartetto – che trasporto emotivo, tanto da chiedersi se Tossani voglia suggerire all’ascoltatore di contemplare la sua musica con un certo distacco, quasi da una distanza «di sicurezza». Questo avviene soprattutto nel brano d’apertura, Translated Rooms, che lascia una certa impressione di déjà entendu fin quando non si riesce a penetrare la sottile e rigorosa logica che pervade gli assoli, specialmente quelli di Succi. Quel che più abbiamo apprezzato è l’intelligente uso dell’elettronica, decisivo nell’indirizzare le sorti dei brani in cui viene impiegata, mentre una menzione particolare va all’astuto contrabbasso di Mangialajo, il perno attorno al quale ruota l’intero gruppo. Un disco che cresce a ogni ascolto e che lascia intravedere significativi sviluppi.
ITA Musica Jazz» TOP JAZZ 2006 (jan. 2007)
MIGLIOR NUOVO TALENTO ITALIANO 2006 / ITALIAN RISING STAR 2006
n. 1: Giancarlo Tossani
DISCO ITALIANO DELL’ANNO / THE ITALIAN RECORD OF THE YEAR
n. 8: Coherent Deformation || ITA La Stampa, Gianmichele Taormina(dec. 2006)
(…) Sfogliando le classifiche, per la sezione “Miglior Nuovo Talento Italiano”, si assesta al primo posto il pianista cremonese Giancarlo Tossani, reduce dall’incisione del suo secondo splendido lavoro intitolato “Coherent Deformation” pubblicato per l’etichetta Auand (…)
FRA Abeillemusique, (dec. 2006)
Le pianiste Giancarlo Tossani poursuit les relations incestueuses entre jazz et musiques d’avant-garde avec ce nouvel album où il retrouve l’excellent Achille Succi au saxophone. En quartet dépouillé de tout artifice, Tossani emmène sa machinerie rythmique vers des territoires inédits où se dépouillent harmonies, mélodies et rythmes sous le contrôle parfois distant de ce curieux maître d’œuvre (Beauty so Difficult). Toujours en quête de sonorité inédites (l’intro de Sounds for Swimming), Tossani sait aussi garder un certain classicisme pour exprimer la beauté simple (The Fog). Un artiste passionnant car libre et détaché de toute influence.
ITA Jazzit, Marco Delle Fave (nov. 2006)
“Coherent Deformation”, capitolo secondo a nome Tossani per la Auand di Marco Valente, conferma le doti di compositore del pianista cremonese: scrittura essenziale, temi densi e un linguaggio improvvisativo libero e pungente consentono (come nel precedente “Beauty Is A Rare Thing”) di dar luce all’amalgama collettivo e al simbiotico interplay del Synapser, cornice che valorizza appieno le qualità solistiche dei quattro. Già Translated Rooms mostra le peculiarità dell’album: la front-line Succi/Tossani libera le note dei propri strumenti sui tappeti ritmici incalzanti e intricati di Mangialajo Rantzer e Calcagnile (che conferma superba prova del precedente cd) e in FlushLush pensieri ovattati scorrono tra riff ripetuti, unisono e percussioni varie. La leggerezza di Sounds For Swimming (dove bit acustici ed elettronici si fondono a melodie sottili) e un intermezzo largo (The Fog) introducono brani (Hip HopZero Up And Down e Musicascope) dove all’elemento percussivo tipico dell’intero lavoro si sommano improvvisazioni e spunti elettr(on)ici più marcati. Una continua esplorazione strumentale, per un disco sicuramente non semplice, che necessita di un ascolto dedicato, ripagato però da grande soddisfazione.
ITA All About Jazz, Angelo Leonardi (oct. 2006)
A due anni dal precedente Beauty Is A Rare Thing, il quartetto Synapser di Giancarlo Tossani esce con un lavoro in linea con la bella ricerca precedente ma più organico e maturo, tale da collocarlo ai livelli del miglior jazz nazionale.
Merito della tenacia che i musicisti spendono in questo progetto (di sintesi tra contemporaneità e avanguardia storica), delle brillanti doti individuali e del sostegno avuto dalla giovane etichetta Auand, una delle realtà più stimolanti dell’attuale panorama italiano ed europeo.
Se il titolo del precedente lavoro, includendo l’omonima composizione di Ornette Coleman, evidenziava un riferimento privilegiato a quell’artista, stavolta il percorso musicale si snoda con piena padronanza dei riferimenti espressivi (che sono meno riconoscibili) in un lavoro impregnato di vivaci dinamiche ritmico-melodiche, che si snodano in un creativo e coinvolgente dialogo tra i solisti.
Anche se non mancano episodi d’astratto camerismo (”The Fog” e in parte “Double Face”) l’estetica del quartetto e la logica delle composizioni (tutte di Tossani) lascia spazio alla relazione tra il sassofono e i clarinetti di Succi e la batteria di Calcagnile, che infondono identità ai brani in un dialogo variegato e ricco di tensione.
In questa scelta la leadership di Tossani si mostra intelligente e matura: il suo pianismo post-tayloriano crea col poderoso basso di Mangialajo un denso tessuto ritmico-armonico che fa da collante e supporto al fantasioso dialogo Succi-Calcagnile, che evita le secche di una ricerca d’avanguardia monocorde.
Il primo si alterna al contralto e al clarinetti spingendosi in avventurosi e pregnanti percorsi improvvisati (dove l’urgenza espressiva mutuata da Threadgill si fonde con le inflessioni ornettiane), il secondo dialoga da vero co-protagonista con quel drumming spezzato e interattivo che l’ha imposto tra i nuovi talenti italiani.
Difficile scegliere tra i brani, tutti interessanti, ma “Hip Hop Zero Up And Down” e “Translated Rooms” s’impongono per l’avvincente taglio ritmico e le brillanti dinamiche complessive.
Valutazione: 4 stelle ( **** )
*USA All About Jazz, Jakob Baekgaard (apr.2009)
*USA Downtown Music Gallery NY, Bruce Lee G (june 2008)
*ITA Jazz Convention, Angelo Abbonante (sep.2005)
*USA Jazz Review, Glenn Astarita (jul.2005)
*ITA Alias, Luigi Onori (jul. 2005)
*FRA Jazzman, Pascal Anquetil (feb. 2005)
*ITA All About Jazz, Enzo Boddi (mar. 2005)-“DISCO IN PRIMO PIANO”
*ITA Jazzit, Vincenzo Martorella (jan-feb.2005)
*ITA Jazzitalia.net, Alceste Ayroldi (jan. 2005)
*ITA Musicboom.it, Vittorio LoConte (jan. 2005)
*ITA Giorgio Coppola, Giorgio Coppola (jan. 2005)
*FRA Abeille Musique, (jan. 2005)
*ITA Musica Jazz, Alberto Bazzurro (jan. 2005)
*ITA La Provincia, Vincenzo Roggero (dec. 2004)
*ITA Vita Cattolica, Fausto Caporali (dec. 2004)
———————————————————————————— USA All About Jazz ,Jakob Baekgaard (apr.2009)
Auand often prefers a musical setting that lies outside the obvious. The classic combination of instruments like piano, bass, drums and horn in the most established formats; trio and quartet, is often challenged by the label, which favours a more adventurous approach to a musical working unit. However, Giancarlo Tossani Synapser’s Beauty Is a Rare Thing is the exception that proves the rule. On paper, the quartet of pianist Giancarlo Tossani, saxophonist Achille Succi, who also plays the bass clarinet, bassist Tito Mangialajo Rantzer and Cristiano Calcagnile on drums may look like a traditional working unit, but like all other artists on the Auand label they stretch the understanding of the sound of jazz while still remaining true to tradition. The title, Beauty Is a Rare Thing, is taken from Ornette Coleman’s composition of the same name, a tune that also finds its way on the album. With lyrical gentleness and empathic understanding of silence and spatiality that is characteristic of the album as whole, the quartet revisits Coleman’s composition, retaining the perfect balance between subtle melodic threads and pure sound. On the other hand, “Early food musics” shows the capability of the band to create a solid groove, which gives plenty of room for Succi’s passionate playing. “Fluxlux” introduces an intricate piano figure reminiscent of Herbie Hancock that dissolves into a carefully controlled stream of sound where Tossani broadens the palette of his instrument: hammering, and whispering. The quartet sings that rare song of beauty, which Coleman captured himself, revisiting and broadening avant-garde tradition.
USA Downtown Music Gallery NY, Bruce Lee G (june 2008)
Featuring Achille Succi on alto sax & bass clarinet, Giancarlo Tossani on piano, Tito Mangialajo Rantzer on double bass and Cristiano Calcagnile on drums The Auand label, out of Italy, has uncovered a wealthy modern jazz scene with a dozen fine discs out and a number of Italian musicians who we haven’t heard of until now. Pianist Giancarlo Tossani is not very well known even in Italy, yet he is a mighty fine pianist. He is also a fine composer and wrote seven of the nine songs here with a striking Ornette cover and an adaption of a piece by J.S. Bach. “Faites Votre Remix” opens with strong (M-Base-like) tight alto sax and piano interplay. “Audioglobe” is a delicate, haunting piece with some lovely bass clarinet. While Succi repeats this hypnotic phase over and over, the quartet swirl around him in magical circles, spinning a dreamy web. Drummer, Cristiano, is a marvel as he provides the creative (rhythmic) force behind nearly every piece. On “Souvenirs from the Future” he dances around the drums while Succi plays his bass clarinet on top of each beat. Giancarlo often writes these pieces that are moderately paced a dream-like with Succi’s haunting bass clarinet floating on top, with a bit of echo added to give the clarinet a more cerebral quality. The title piece is by Ornette Coleman and is taken slower with a lovely laid-back vibe and sublime alto sax from Achille.
All four members of this fine quartet are gifted musicians and each gets a chance to shine. It is difficult to tell at times who the leader is except for the fact that Tossani wrote most of the pieces.
Another wonderful jazz treasure that will most likely never be heard on WBGO. For shame! ITA Jazz Convention, Angelo Abbonante (sep.2005)
Contrariamente a quanto si possa pensare, leggendo il titolo di quest’album, non si tratta della solita rivisitazione in onore di un grande del jazz. Beauty is a rare thing è un brano dell’informale Ornette Coleman, e in questo caso anche la title-track del CD. Trae spunto dall’idea, Tossani, sfruttando sì quelle strutture aperte tipiche dell’altosassofonista texano, ma senza lasciarsi mai sfuggire di mano il controllo della situazione, anche compositiva. Nulla è lasciato al caso, i brani si svolgono sul dialogo dei vari strumenti. Ci si tuffa in atmosfere palustre e nebbiose. Gli strumenti si fondono in conversazioni private. A volte imbarazzanti per l’ascoltatore che tende l’orecchio su discorsi personali. Ma non si può fare a meno e la curiosità si spinge oltre il semplice orecchiare. Di certo questa situazione difficilmente riesce facile al primo ascolto (e magari distratti da altri avvenimenti). Un lavoro lungo e difficile, persino per il pianista (nella fase compositiva), bensì una volta penetrati in quella fitta maglia di suoni si riesce a raccogliere il godimento promesso. Nell’insieme le intenzioni del leader vengono decifrate egregiamente dai suoi collaboratori. Il pianista cremonese non si lascia in interpretazioni barocche anzi piuttosto essenziali ed efficaci, Achille Succi, con il suo clarinetto basso e il sassofono, dona ai brani un’atmosfera scura e pungente, Mangialajo, con il contrabbasso, l’inquietudine e Calcagnile, alla batteria, interpreta l’antitesi creando trame capaci di ammorbidire e sfumare gli angoli più acuti e pungenti che ancor più duro rendevano le evoluzioni musicali del caso. Per gli amanti delle chicche, inserendo il cd nel computer o un lettore MP3, si scoprirà una decima traccia in formato digitale ad alta qualità (320kbit). Apprestatevi a portare le vostre candeline sulla torta in modo originale. Happy Birthday naturalmente!
USA Jazz Review , Glenn Astarita (jul.2005)
This Italian modern jazz quartet led by pianist Giancarlo Tossani enjoys investigating a multitude of contrasts, evidenced by a few hard-bop pieces, but more so during the slower tempo pieces. Essentially, the band sports a wily and at times, gritty disposition amid oscillating flows and variances in pitch.
Reedman Achille Succi’s bass clarinet work provides a complementary edge to Tossani’s animated progressions and probing lyricism. However, on the piece titled “Give Me a Face, Give Me a Voice,” one of the musicians injects a steely-edged scraping sound, which spurs notions of someone sawing a cymbal in half. Why the producers didn’t delete this out of the mix is beyond me ***, especially since it destroys the introspective schema enacted by the soloists. Alternatively, the quartet’s take on Ornette Coleman’s “Beauty Is a Rare Thing,” emits an ECM Records aesthetic, featuring Succi’s Jan Garbarek-type, yearning sax lines and plaintive cries. And while there are a few superfluous movements, kudos are in order for the artists’ synergistic output and ability to capitalize on each other’s strengths. To that end, they often delve inward during many of these pieces, where cunning dialogues, diminutive phrasings and climactic opuses translate into more than just a few attention-grabbing propositions.
*** Sorry, we like it !!! (Synapser & Auand) ITA Alias –Il Manifesto, Luigi Onori (jul. 2005)
Solo Ornette Coleman e J.S. Bach cita il pianista e compositore. Il brano che dà il titolo all’album è una dichiarazione di poetica per una musica che non cerca esibizionismi, è rivolta ad uno scavo interiore, pensata e pensosa, che si pone in dialettica con l’ascoltatore senza offrire troppe certezze, piuttosto, una tensione quasi etica.
Audioglobe, ad esempio, si snoda su un bordone di clarinetto basso, con il piano e la batteria che agiscono in parallelo.
Tossani ha chiamato al suo fianco musicisti giovani e di area d’avanguardia: Achille Succi, Tito Mangialajo Rantzer, Cristiano Calcagnile.
Tra i titoli più belli citiamo Give Me a Face, Give Me a Voice e Musicarebus. FRA Jazzman, Pascal Anquetil (feb. 2005)
Encore totalement inconnu en France, Giancarlo Tossani qui a vu le jour en Italie en 1958 vit aujourd’hui à Cremona. Ancien étudiant de philosophie à l’université de Bologne, il a choisi de poursuivre son apprentissage de la liberté en préférant l’improvisation à la dissertation, le piano à la philo. Pour ce faire, il a pris des leçons aux meilleures sources. À savoir, avec des pianistes aussi réputés que Franco d’Andrea, Mal Waldron et John Taylor. Après avoir beaucoup composé pour la danse et la poésie, Tossani se lance enfin dans l’aventure du groupe sous son propre nom grâce à Auand, le petit label qui monte en Italie. Dans son quartette, on découvre Achille Succi, jeune saxophoniste qui, loin de la flamboyance lyrique de ses collègues transalpins connus de ce côté-ci de la frontière (Stefano Di Battista, Rosario Giuliani, etc), affectionne à l’alto une sonorité acide, pincée, voire parfois geignarde, qui contraste avec celle chaudement boisée qu’il aime à déployer à la clarinette basse. Composé de morceaux “originaux” dus à la plume du pianiste (a l’exception de “Beauty is a Rare Thing” signé Omette Coleman), cet album patchwork intrigue, séduit, agace, déconcerte par la diversité des paysages qu’il invite à visiter. Trop souvent, il faut l’avouer, on est saisi par une persistente impression de “déjà-entendu”. À vrai dire, on aimerait se faire une opinion plus juste et pertinente de l’originalité du quartette en l’écoutant sur scène. On y vérifierait mieux sans doute si la tendance qu’a Giancarlo Tossani de faire le caméléon du style en adoptant selon les plages un jeu ouvertement coloré de “monkeries”, taylorismes ou autres influences pianistiques trop évidentes est chez lui aussi exagérée en studio qu’en “live”. Avec ce disque, Giancarlo Tossani a trouvé sa voie. Reste à espérer qu’il trouvera prochainement sa voix. ITA All About Jazz, Enzo Oddi (mar. 2005) – DISCO IN PRIMO PIANO
Cremonese, classe 1958, il pianista Giancarlo Tossani rivela con questo album (perfettamente consono alla linea artistica della Auand) una visione compositiva di ampio respiro ed un approccio esecutivo rigoroso.
Nume tutelare ed essenza spirituale dell’incisione risulta Ornette Coleman, e non solo per la ripresa della composizione che intitola il disco. Colemaniano e’ lo spirito che lo pervade, segnatamente per il latente (ma pregnante) senso del blues, per la concezione melodica scarna ed aspra, per la continua ricerca di un equilibrio tra superstrato afroamericano e substrato europeo. Tutte caratteristiche, queste, gia’ lampanti nell’iniziale Faites votre remix.
A questo aggiungiamo un altro elementare fattore. Nel pianismo di Tossani si rilevano tratti stilistici senz’altro riconducibili alla poetica di Paul Bley, il pianista piu’ vicino a Coleman per trascorsi artistici, pensiero armonico e sensibilita’ estetica. Dunque, predilezione per temi geometrici, dalla logica stringente; poderose figure ritmiche disegnate dalla mano sinistra; fraseggi obliqui di matrice sassofonistica.
Muovendosi secondo queste coordinate, Tossani trova in Tito Mangialajo Rantzer e Cristiano Calcagnile una ritmica propositiva e prolifica di idee, pronta ad inserirsi nei percorsi articolati delle composizioni. Achille Succi si dimostra un interlocutore ideale, come titolare al sax alto di un linguaggio maturo e consapevole, e di un fraseggio pulito, incisivo, che penetra nell’architettura dei brani con precisione chirurgica ed effetti beneficamente devastanti. Succi si esprime poi con padronanza ed originalita’ assolute al clarinetto basso, sintetizzando la lezione di Eric Dolphy, il piglio ritmico di David Murray ed i tratti cameristici di Anthony Braxton.
La musica di Tossani ne trae giovamento anche negli episodi di impronta piu’ marcatamente europea, come nella rielaborazione di spunti bachiani di Give Me a Face, Give Me a Voice. Rielaborazione e’ forse un termine improprio e fuorviante. Infatti, il brano non ha niente a che vedere con le riletture di Bach fornite in passato da John Lewis, Jacques Loussier e Swingle Singers. Semmai, e’ un valido esempio di come si possa adattare al linguaggio di derivazione jazzistica (rendendolo pressoche’ irriconoscibile nel contesto) il pensiero avanzatissimo del maestro di Eisenach.
ITA Jazzit, Vincenzo Martorella (jan.-feb. 2005)
Giancarlo Tossani non è esattamente uno di quei musicisti che inflazionano la scena concertistica e discografica italiana. Un plauso, allora, alla Auand di Marco Valente per aver scovato questo interessantissimo musicista cremonese, e molti plausi al pianista per un disco assai interessante. La dedica ornettiana non è casuale, ma neanche una dichiarazione d’intenti: la musica di Tossani si muove su tessiture e strutture sì aperte, ma con grande controllo dello spazio (timbrico e compositivo), e una gestione accortissima del materiale. I temi, tutti del pianista, eccetto la gemma ornettiana, sono densi e pensosi, quasi astratti, giocati su sfumature a volte avvincenti grazie al dialogo preciso, quasi filosofico, tra i musicisti. Niente è lasciato al gesto facile e ammiccante, o alla soluzione bonaria e banale. Tutt’altro. Certo, il risultato è un lavoro impegnativo, e di non facilissimo ascolto, ma penetrare nelle anse e nei rivoli di questa musica può dare grandi gioie. Tossani è pianista essenziale, quasi cubista, mentre sul valore di Succi e Mangialajo nulla, oltre quanto si è più volte detto, può essere aggiunto. Menzione speciale, invece, per Cristian Calcagnile, instancabile creatore di trame e suoni originalissimi. Un bel disco.
ITA Jazzitalia.net, Alceste Ayroldi (jan.2005)
Pensiero-azione o reazione. Questo è il progetto di Giancarlo Tossani, lineare ma la contempo elaborato, alla stregua della sinapsi che evoca il nome.
Un buon jazz, intenso con alcune linee bop forti, come nel brano di apertura “Faites votre remix”. Ma non siamo difronte ad un “repechage” della tradizione jazzistica, vi è dell’altro: la sperimentazione dei suoni, in alcuni tratti improvvisativi e distonici (Souvenirs from the future), in altri misteriosi e suadenti (Audioglobe).
Il sax di Achille Succi è sempre fuori dalle righe e piacevolmente aspro, opportunamente sorretto dalla puntuale sezione ritmica formata da Calcagnile alla batteria e Mangialajo Rantzer al contrabbasso. Le sue improvvisazioni acide e crude in “Fluflux” rendono il brano a tratti piacevolmente ansioso. Sarebbe ottimo per una colonna sonora di un film “psyco”, anche per i suoi cambi d’armonia.
La fusione dei suoni, sempre ben ricercati, si evidenzia maggiormente nel brano “Give me a face, give me a voice”, dove Tossani si associa nella composizione, niente meno che a J.S. Bach! Le sonorità sono più da musica contemporanea che da jazz. Anche lo stridore, esasperatamente voluto, dell’archetto sulle corde del contrabbasso, riconduce a certe vibrazioni musicali contemporanee.
“Musicarebus” prosegue la ricerca delle sperimentazioni e delle fusioni di suoni, riconducendosi alle tematiche care all’avanguardia jazz.
“Beauty is a rare thing” è l’unica traccia non firmata da Tossani. Il brano è del leggendario Ornette Coleman: da tale scelta si può ben comprendere la ricerca del leader, la cui ottima tecnica pianistica trascina sempre, ma senza invadere l’intero lavoro.
Il brano di chiusura, “Mejor vida corporation” è dotato di piena cantabilità ed evidenzia il tecnicismo poliedrico del pianista cremonese esaltando l’interplay del quartetto.
L’intero lavoro è caratterizzato da un’armonica sensibilità del quartetto, lì dove ognuno contribuisce al raggiungimento del progetto “cellulare” di Giancarlo Tossani.
ITA musicboom.it, , Vittorio LoConte (jan. 2005)
La rarità della bellezza.
Dopo la scoperta della tanto decantata postmodernità con la sua eterogeneità di fonti e le sue improbabili misture di stili e colori arriva anche chi si ferma – come il pianista Giancarlo Tossani – al moderno con una musica che ha le sue fonti nelle scoperte armolodiche di Ornette Coleman.
Insieme a “Beauty Is a Rare Thing” del famoso sassofonista ci sono otto composizioni di buon livello che mostrano la capacità di scrittura e l´abilità nel dirigere il quartetto del pianista cremonese. La sua musica trova in Achille Succi un perfetto complemento che dà una nota notturna alle esecuzioni con il suo clarinetto basso e più arcigna ed aggressiva al sax alto.
La musica si svolge guidata quasi impercettibilmente dal pianoforte, con gli accordi a generare colori e sfumature che hanno le loro origini in un concetto, quello di Ornette Coleman, il cui fine era quello di liberare la musica dai legami dell´armonia. Purtuttavia il risultato funziona abbastanza egregiamente grazie allo stato di grazia degli artisti coinvolti, anche loro partecipi di una celebrazione del moderno che nelle loro mani suona più attuale e orientata verso il futuro che il postmoderno come moda – passeggera per definizione – di turno.
Le armonie di Tossani non ingabbiano lo svolgimento: sono solo punti di partenza o di arrivo di dialoghi tenuti volutamente concisi a sottolineare la bellezza degli svolgimenti e la collettività dell´assunto di partenza.
ITA giorgiocoppola.it, Giorgio Coppola (jan. 2005)
Giancarlo Tossani è pianista e compositore cremonese di grande spessore ed ottime intuizioni. Questo suo lavoro porta la firma del gruppo Synapser, perché non si può parlare di un lavoro del pianista, ma di un quartetto di eccezionali musicisti, che con il loro feeling ed il loro interplay hanno creato una musica di estrema suggestione. La dedica del cd a Ornette Coleman ed alle sue ricerche musicali, è evidenziato sin dal titolo, Beauty is a rare thing. Ma non si pensi ad una ossequiosa musica in onore del Maestro, ma ad un ricongiungimento con un modello di ricerca e sperimentazione, che ha alla base la melodia e l’interazione ritmica. Intanto Tito Mangialajo al contrabbasso e Cristiano Calcagnile alla batteria disegnano tessuti sonori di grande intensità, in cui il solista di turno dà tutto se stesso alla ricerca del piacere e della bellezza (sembra che vogliano dimostrare che non è poi cosa tanto rara). Achille Succi si dimostra a proprio agio, alternandosi come al solito tra il sax alto ed il clarinetto basso, trova terreno fertile per i suoi splendidi voli solistici, assecondato sia dalle melodie delle composizioni che dai suoi partner del momento.
Giancarlo Tossani firma otto dei nove brani (a parte proprio la dedica a Coleman), e si dimostra fine compositore, alternando ritmi ed intuizioni, e concedendo all’ascoltatore il suo universo e le sue passioni. Dispensa le sue note con assoli puntuali e leggeri, cogliendo il momento migliore per librarsi, e poi rientrare.
“Souvenirs from the future” è forse il brano più intenso dell’opera, ma l’intero ascolto è fluido, ed ogni brano cattura l’utente per la sua peculiarità (dai misteri di “Audioglobe”, alle adrenaline di “Fluxlux”, dai classicismi di “Give me a face, give me a voice”, alle sperimentazioni di “Musicarebus”). Anche il modo di approcciare e rispettare il brano di Coleman, dà ragione ai musicisti, pur trovandosi di fronte ad un capolavoro della musica del Novecento.
E’ stata una piacevole sorpresa questo disco, di cui varrebbe la pena seguire le evoluzioni live.
Bella la foto di copertina e la cura dei particolari.
ITA Musica Jazz, Alberto Bazzurro (jan. 2005)
Otto temi di Tossani (uno in compartecipazione con Bach) e il brano di Coleman che intitola il Cd costituiscono un corpus del tutto indicativo delle potenzialità di un artista non più giovanissimo ma il cui nome non si può certo dire familiare. Se si eccettua l’iniziale Fait votre remix, il lavoro si scinde in due blocchi distinti: quello in cui Succi si cimenta con il clarinetto basso (dal secondo al sesto brano) e quello in cui è al sax contralto (il trittico finale, oltre al tema d’apertura). Le cose migliori sembrano arrivare dal primo dei due segmenti: specie da Souvenirs From The Future (esaltato in particolare da un duetto Succi-Calcagnile che evoca atmosfere portal-sclavisiane), da Give Me a Face, Give Me A Voice (concentrato e suggestivo), e da Musicarebus (in cui è il pianismo à la Tristano a fornire i riscontri più significativi).
Gli episodi con Succi al contralto battono sentieri più lineari. Si staglia proprio il brano colemaniano, vuoi per la bellezza del tracciato tematico, mirabilmente compendiato anche dal corollario improvvisativo, stirato, a tratti lancinante, vuoi per la prova di Calcagnile, sempre molto attento al risvolto prima ancora cromatico che prettamente ritmico del gioco percussivo. Ideale prosecuzione è il successivo Early Food Musics, in cui alquanto ornettiano permane il deambulare di Succi, così come per più versi hadeniano il contrabbasso di Mangialajo.
La prova di tutti i musicisti coinvolti nell’operazione risulta ovunque aderente e apprezzabile.
FRA abeillemusique.com (jan. 2005)
Giancarlo Tossani, avant d’être pianiste hard bop attiré par l’improvisation et la liberté, fut un étudiant assidu de philosophie à l’université de Bologne. Ce passage lui a sans doute apporté la part de doute nécessaire pour façonner ce qui fait aujourd’hui sa réputation : un joueur qui aime le jeu, la part d’ombre et le questionnement perpétuel… Il en est ainsi de Synapser, album fantasmé qui apporte, en quartet, une image du dialogue en jazz perpétuellement remis en question. De ses collaborations précédentes avec Mal Waldron et John Taylor, on peut deviner que Tossani a retenu l’idée de beauté fragile en musique (il reprend ici Beauty is a rare thing d’Ornette Coleman), avec ces arpèges de notes (Audioglobe) qui semblent tout déstabiliser en l’espace de quelques secondes… Album fort et intrigant, Synapser s’écoute comme on découvre un ouvrage de Primo Levi : la conscience et l’intelligence sur un perpétuel qui-vive. A noter, la participation diablement efficace du saxophoniste Achille Succi, lui aussi constamment préoccupé par l’idée de remettre son travail sur l’établi!
ITA La Provincia, Vincenzo Roggero (dec. 2004)
E’ uscito da poco sul mercato discografico per i tipi della Auand, giovane e prestigiosa etichetta indipendente particolarmente attenta ai fermenti più creativi della musica improvvisata, Synapser-Beauty is a rare thing, lavoro d’esordio da leader del pianista e compositore cremonese Giancarlo Tossani. Maturità scientifica e studi di filosofia alle spalle, Tossani ha approfondito il suo interesse per la musica afroamericana con alcuni dei maestri più rappresentativi della scena jazzistica nostrana e internazionale quali Franco D’Andrea, Luca Flores, Mal Waldron e John Taylor. Oltre a collaborare con numerosi musicisti italiani, ha composto musiche per spettacoli di danza e di poesia. Nel 2003 ha inciso il cd Mother Earth con il gruppo nu-jazz Fade Out Vision. Beauty is a rare thing può essere considerato uno dei lavori più interessanti, freschi e maturi apparsi nel corso del 2004 in un mercato inflazionato da prodotti omologati ad un idea di jazz di facile ascolto e rassicurante. Le nove tracce del cd (sette a firma del pianista) rappresentano al meglio la visione musicale di Tossani ed esaltano la sua dimensione di compositore aperto e originale, capace di coniugare le libertà armoniche care ad Ornette Coleman con la dimensione rigidamente strutturata della musica accademica, il suono aspro e zigzagante del Dolphy più ispirato con una raffinata solarità latina. Il tutto confluisce in uno stile personale essenziale e rigoroso, nel quale sia gli interventi solistici che i momenti di accompagnamento evidenziano la precisione di tocco, la bellezza del suono. Il quartetto evidenzia un interplay davvero invidiabile che innerva di continua tensione esecutiva ogni momento dl disco: Achille Succi è graffiante al sax contralto e irresistibile al clarinetto basso, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso assicura una pulsazione robusta e stimolante, Cristiano Calcagnile trasforma con leggerezza la sua batteria in una ricca tavolozza di colori.
ITA Vita Cattolica, Fausto Caporali (dec. 2004)
Chi è abituato a dare per scontato che il nome straniero sia garanzia automatica di qualità -difetto italico dei più antichi- farà fatica a convincersi che anche a Cremona si fa musica dotata di quel fondamentale ingrediente che è la finezza di ideazione.
Le note sono quelle, gli accordi non si possono stiracchiare più di tanto e i tempi sono in buona sostanza o lenti o veloci; certamente non è questione di originalità, specie se ci riferiamo al jazz, campo in cui si è sperimentato di tutto e in cui i cimenti dell’armonia e dell’invenzione, per dirla all’antica, sono spinti all’estremo, ma pure c’è ancora spazio per chi onestamente cerca di esprimere prima di tutto se stesso, qualità fondamentale di ogni autentico artista.
E’ il caso dell’ultima incisione del gruppo Synapser di Giancarlo Tossani, pianista che opera discretamente all’ombra del Torrazzo ma di cui si sente ad ogni nota suonata il fuoco di quella passione cui è difficile restare immuni se solo si inizia a praticare jazz.
Una manciata di composizioni originali con l’aggiunta di un paio di reinterpretazioni da Bach e Ornette Coleman disegnate nel solco delle correnti americane più recenti, non riescono a nascondere una vena personale fatta di atmosfere notturne, di tempi dilatati, di essenzialità e rarefazione.
Accanto a un jazz vigoroso e funambolico (Faites votre remix, Souvenir from The future, Early food music), vi è qualche excursus quasi radiofonico (Mejor vida corporation) e molte pagine in cui l’armonia offre le sue ragnatele per ambientazioni da assaporare lentamente (Audioglobe, Give me a face, give me a voice, Beauty is a rare thing).
Un Cd sempre teso, in cui nulla è lasciato senza peso specifico e in cui i riflessi di singoli dettagli compaiono a profusione, come è caratteristico di chi cura i particolari del proprio linguaggio ed è abituato ad aggiungerne sempre di nuovi.
Fantasioso e ardito negli assoli è il contributo di Achille Succi al clarinetto basso e al sax alto, preciso e presente è il contrabbasso di Tito Mangialajo Rantzer, senso del ritmo e spiritosa vitalità sono la costante del batterista Cristian Calcagnile; i ritornelli sono affrontati coralmente con schietta naturalezza, i culmini di intensità vengono giocati sul filo dell’emozione, e non vengono disdegnati qua e là tratti di semplice orecchiabilità; vaste sono le zone di distensione per un jazz di grande qualità e personalità. Anche se fatto a Cremona.